It is a great pleasure to announce the Centro Studi Opera Omnia Luigi Boccherini’s new book: “Music and Power in the Baroque Era” edited by Rudolf Rasch, Brepols Publishers
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It is a great pleasure to announce the Centro Studi Opera Omnia Luigi Boccherini’s new book: “Music and Power in the Baroque Era” edited by Rudolf Rasch, Brepols Publishers
Le due maschere di Beethoven: iperrealismo, mitopoiesi e arte funebre, in:
L’immagine come pensiero.
Forme e metamorfosi dell’ideale umano da Herder a Benjamin,
a cura di Chiara Sandrin,
pp. 162, Torino, Trauben
Questo saggio affronta tre argomenti: dapprima esamino come la realtà, attraverso la maschera da vivo di Beethoven, s’insinuò in un’opera d’arte (il suo busto modellato da Franz Klein). In questa prima sezione metto a fuoco quale responsabilità abbia l’artista nel riprodurre un soggetto, vale a dire quale sia la riproduzione del reale “legittima” .
Discuto poi della mitopoiesi beethoveniana, ovvero la metamorfosi che l’immagine del compositore, in atto già quando era ancora in vita, subì nelle parole di chi lo incontrò personalmente.
Affronto infine la genesi della maschera funebre in parallelo col racconto del decesso del compositore tramandato da un suo contemporaneo. Sarà risolto un grande mistero e data risposta alla domanda: perché sempre più spesso si confonde la maschera di Beethoven “dal vivo” di Franz Klein (1812) con quella funebre realizzata da Josef Danhauser nel 1827?
Riferimenti iconografici:
Franz Klein, maschera dal vivo di Beethoven, 1812, Beethoven-Haus, Bonn
Anton Dietrich, gesso tratto dal busto di Beethoven, 1890 circa, Beethoven-Haus
Arnold Hermann Lossow (da Anton Dietrich), busto di Beethoven (occhi con le pupille), Walhalla
Josef Danhauser, gesso tratto dal busto di Beethoven, 1890 circa, Beethoven-Haus
Franz Klein, busto di Beethoven, realizzato con l’ausilio della maschera, 1812, Kunsthistorisches Museum, Sammlung alter Musikinstrumente, Neue Burg, Wien
Franz Klein, fine XIX sec.-inizio XX sec., copia in bronzo di H. Leidel del busto di Beethoven del 1812, Beethoven-Haus
Ferdinand Schimon, Beethoven, 1819, Beethoven-Haus
Josef Danhauser, calco in gesso della maschera mortuaria di Beethoven, post 1827, Beethoven-Haus
* * *
Il tema era stato oggetto di presentazione nel ciclo di incontri seminariali di letteratura, arte e filosofia, a cura di Chiara Sandrin, nell’ambito della ricerca “La responsabilità dell’arte”:
Bild, Vorbild, Nachbild. Immagine, forma, metamorfosi dell’umanità come ideale.
20 febbraio 2013, h. 18, III piano, Palazzo Nuovo, Torino
Le due maschere di Beethoven
B. Saglietti, Ritiro dalle scene, fuga per quartetto vocale, radio contrappuntistica: fugue ed escape in Glenn Gould (scarica il pdf), in:
L’Analisi Linguistica e Letteraria, Rivista della Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, XXII, 2014, fascicolo n. 1-2, pp. 185-192. Atti del convegno: In fuga: temi, percorsi, storie (locandina), Milano, 1-2 marzo 2013.
When did Glenn Gould play his last concert? in: The Glenn Gould Foundation, f.a.q., last updated 20.1.2105
I detest audiences […] Not in their individual components but en masse…
I think they are a force of evil.
CBC Digital Archives, Glenn Gould quits the concert stage (video), last consulted 26.6.2015
The Prospects of Recording, Library and Archives Canada, The Glenn Gould Archive (writings), last updated 7.1.2004
Advice to a Graduation, Library and Archives Canada, The Glenn Gould Archive (writings), idem
G. Gould, So You Want to Write a Fugue? New York, Schirmer 1964, partitura in pdf, da coo.uni-corvinus.hu
VIDEO: So You Want to Write a Fugue? con sottotitoli (ENG)
So you want to write a fugue? sul blog Minima Musicalia, originariamente in «HiFi/Stereo Review», aprile 1964, tratto da L’ala del turbine intelligente, Adelphi, pp. 388-399
Extra: Glenn Gould talks about So You Want to Write a Fugue with Bruno Monsaingeon, video (Youtube)
Gould definì i suoi lavori per la radio “oral tone poems” o “docudramas”,
cfr. R. Kostelanetz, Glenn Gould as a Radio Composer, in: «The Massachusetts Review», Vol. 29, No. 3 (Fall 1988), pp. 557-570, jstor.org/stable/25090021, last accessed 11.4.2013
VIDEO: prologo di The Idea of North montaggio + sottotitoli (ENG)
La trascrizione del prologo di The Idea of North deriva da: sinoidal909.blogspot.it
Il prologo è trascritto e annotato anche in:
J. Hebb, Glenn Gould, Word Painter. Library and Archives Canada, The Glenn Gould Archive
K. Taylor, The meaning of Glenn Gould, blogpost
Anne Smith, Glenn Gould and Marshall McLuhan, forum di discussione on-line
Ripensare l’iconografia beethoveniana oggi. Breve storia di una disciplina bistrattata
su Síneris. Revista de musicología, n. 6 in spagnolo e in italiano
e con una mini playlist su Youtube
A sx. un’opera di Gail Stoicheff, The Prince 2011 © Tincaart, commissionata dall’International Beethoven Festival; a dx. Anton Boch, il vecchio (1830-1884), post 1827, dal disegno di G.E. Stainhauser von Treuberg (ribaltata rispetto all’originale).
Una riflessione a margine. Come cambierà il modo di vedere l’arte, grazie a siti tipo artstor.org o Googleartproject?
È facile dimenticare come l’idea stessa di espressione digitale implichi un compromesso che ha implicazioni metafisiche. Un dipinto a olio non può veicolare un’immagine creata con un altro mezzo; è impossibile far sì che un dipinto a olio assomigli a un disegno a china, per esempio, o viceversa. Ma un’immagine digitale con una risoluzione sufficiente può catturare qualunque genere di immagine percepibile; o, almeno, è quello che si potrebbe credere se su ha una fede eccessiva nei bit. Naturalmente, le cose non stanno davvero così. Un’immagine digitale di un dipinto a olio rimarrà sempre una rappresentazione, non un oggetto reale. Un dipinto reale è un mistero insondabile, come ogni altra cosa reale. Un dipinto a olio cambia col tempo; la sua superficie si crepa. Ha una tessitura, un odore, emana una sensazione di presenza e di storia. […]
Le rappresentazioni digitali possono essere molto buone, ma è impossibile prevedere tutte le modalità con cui una rappresentazione potrebbe essere usata. Per esempio, si potrebbe definire un nuovo standard tipo il MIDI per rappresentare i dipinti a olio che includa odori, crepe e così via, ma si scoprirà sempre di aver dimenticato qualcosa come il peso della tela o il suo grado di tensione.
Jaron Lanier, Tu non sei un gadget, trad. it. Marco Bertoli, Mondadori, Milano 2010, pp. 175-6.
Una caricatura dell’organo oculare di Louis-Bertrand Castel. Charles Germain de Saint Aubin, 1740-circa 1757. Collocazione 675.302
Waddesdon, The Rothschild Collection (The National Trust)
“Que n’ont ils tous Employés leurs tems à la même Machine”.
Fonte: collection.waddesdon.org.uk
Si può scaricare e leggere nel volume:
Abstract
Il padre gesuita Louis Bertrand Castel (1688-1757) è oggi ricordato per l’invenzione del clavicembalo oculare, strumento che voleva soddisfare la vista e l’udito attraverso la produzione contemporanea di colori e suoni, la cui ideazione fu annunciata per la prima volta nel 1725 sul Journal de Trévoux. Nonostante esistano molti cenni allo strumento e al suo inventore sparsi qua e là nella letteratura secondaria italiana e straniera, entrambi apparivano nel contesto della riflessione filosofica attinente al Settecento francese ancora abbastanza indistinti. Soprattutto, restava ancora aperta a riguardo qualche interessante domanda.
Fin dal XVII secolo il dibattito attorno alla natura fisica della luce e dei colori fu una delle controversie fondamentali della scienza e, inoltre, la discussione dell’analogia – vera o presunta che fosse – di suono e colore non era certo dominio del solo Castel. Egli fu, tuttavia, il primo a immaginare uno strumento che li potesse unire.
Chi era padre Castel? Quale la sua speculazione e il suo ruolo nella Francia del tempo? Cos’è davvero il clavicembalo oculare? È mai esistito? A cosa doveva servire? C’è un rapporto tra quello strumento e le invenzioni più moderne per produrre luce e suoni? Tali i quesiti di partenza.
La scintilla della ricerca è scoccata in me grazie alla curiosità suscitata dalla potentissima somiglianza tra l’idea di Castel e quella del clavier à lumières che Aleksandr Skrjabin (1872-1915) ideò nel 1911 per la sua composizione Prometeo. Invenzione che, come il clavicembalo oculare precorreva i tempi, ma era più facilmente “pensabile” poiché, nel frattempo, era stata inventata la luce elettrica.
Davvero, a duecento anni di distanza, uno strumento musicale quasi identico (prima un clavicembalo evolutosi nel frattempo in pianoforte) teneva ancora occupata la mente di un uomo quale Skrjabin, compositore russo, francofono, appassionato di teosofia, che difficilmente avrebbe potuto essere più diverso da Castel, gesuita francese? Era plausibile che un’idea nata nel XVIII secolo svanisse – almeno così mi era parso all’inizio – per ricomparire quindi tutt’a un tratto nel XX?
Dopo la morte di Castel lo strumento continuò a far parlare di sé, sebbene in modo intermittente, fino alle soglie del Novecento. L’unione della musica e del colore, così come l’assonanza fra i due fenomeni, è stata una suggestione di rilievo sia dal punto di vista della storia delle idee sia da quello meramente storico. Un’idea che ha affascinato filosofi, musicisti, letterati, capace di giungere attraverso alcune interessanti metamorfosi fino ai nostri giorni.
Curioso/a?
Leggi il saggio: sul Kindle o in pdf oppure nell’intero volume cartaceo delle Metamorfosi dei lumi 6.