Una dama di picche in tempo di guerra: Teatro alla Scala

La Dama di picche, opera di Pëtr Il’ič Čajkovskij rappresentata per la prima volta nel 1890, mancava da diciassette anni al Teatro alla Scala. Sebbene sia comunque possibile confrontare questa produzione con altre andate in scena altrove, forse ci si può limitare a chiedersi come e se sia cambiata la nostra percezione dell’opera tra la prima del 23 febbraio 2022 diretta da Valery Gergiev e la seconda rappresentazione diretta il 5 marzo da Timur Zangiev. Prima, in tempo di pace, e oggi, in tempo di guerra. La mancata presa di posizione di Gergiev nei confronti dell’aggressione militare russa in Ucraina ha messo sul podio Zangiev: un paragone tra i due mi parrebbe un’operazione poco sensata.

Mi chiedo piuttosto invece se la questione non sia un’altra: ovvero se la musica e l’arte in tempo di guerra mutino, così come noi siamo cambiati dalla mattina alla sera, vedendo amici o sconosciuti ucraini, sfollati, scomparsi o morti. Ed è probabile che nel complesso non ci siano state modifiche nel nostro atteggiamento nei confronti della Dama di picche di Čajkovskij, men che meno si siano sollevati dei dubbi dentro di noi sul compositore russo (in quanto russo), come nell’assurdo caso Dostoevskij-Bicocca che ha coinvolto suo malgrado lo scrittore Paolo Nori rivelando l’insipienza dell’istituzione. Ma, da qualche parte, nella nostra testa forse anche la percezione di quest’opera è diversa a causa della guerra. Domande suscitate da Čajkovskij e Puškin, da cui è tratto il libretto di Modest Čajkovskij, che ti porti a casa anche quando l’opera è finita: cosa accade a un’identità labile come quella di Hermann quando è offuscata dalla dipendenza dal gioco o da quanto egli crede debba compiere (arricchirsi attraverso le tre carte)? Ma anche che cosa è “russo”, oltre alla romanza di Polina e alla sua danza con le amiche nella scena del gineceo? Cosa significa per noi? Nella Dama l’unica guerra è quella fittizia fra i ragazzini (il coro di voci bianche diretto da Marco De Gaspari eccellente quanto quello istruito da Alberto Malazzi), capitanati dalla brava Beatrice Calori, guerra che suona diversa pensando che al fronte in Ucraina ci sono ragazzini veri che combattono e muoiono. L’addio all’infanzia, che introduce l’opera e che rende ancora più amara la vicenda intonata nella continuazione, sembra più sinistro oggi. Può darsi quindi che la musica non sia separata dalla realtà nella quale viviamo, quando e se ci interroga nel nostro privilegio: quello di essere vivi e di poterlo raccontare.

ph Brescia e Amisano © Teatro alla Scala

Il cast vocale di questa Dama di picche è di rilievo: Najmiddin Mavlyanov (Hermann) interpreta in modo convincente un ruolo impegnativo che gli impone di cantare dall’inizio alla fine dell’opera, ha una voce salda e voluminosa. È al suo debutto alla Scala e al termine dello spettacolo viene accolto, come la protagonista e il direttore d’orchestra, da un’ovazione. Di pregio le prove della magnifica Elena Maximova (Polina), di Julia Gertseva, una Contessa che si imprime nella memoria, di Roman Burdenko (Tomskij) e di Alexey Markov, un tragico, melanconico Principe. Liza sembra creata per Asmik Grigorian: una protagonista che eccelle nell’interpretazione vocale, nell’immedesimazione nel personaggio e spicca inoltre per le qualità attoriali. I suoi sguardi, i movimenti, le interazioni con gli altri personaggi: è come se fosse nata Liza. Naturale, mai eccede nel drammatico, sensibile, fa vibrare di vita gli stati d’animo della protagonista. Lo si nota, ad esempio, nella scena della camera di Liza declinata in pizzo bianco e grandi cuscini, su cui spiccano i bei costumi di Malte Lübben, o nel duetto conclusivo con Hermann, già sprofondato nell’oscurità. La regia di Matthias Hartmann gioca per la maggior parte del tempo sulla contrapposizione tra bianco e nero, luci e ombre, ricorrendo a file di neon e pannelli semoventi e rispecchianti, in contrasto voluto con la ricchezza barocca del ballo mascherato. Non sempre sembra però essere coerente: peccando di ridondanza in alcuni casi (le multiple apparizioni del conte di Saint-Germain) e di didascalismo in altri (il fantasma della contessa proiettato sul velatino è parsa una soluzione poco efficace).

ph Brescia e Amisano © Teatro alla Scala

Timur Zangiev, il direttore ventisettenne che ha curato le prove e dirigerà tutte le recite a seguire, ha preso saldamente in mano le redini di orchestra, cori e cantanti. Zangiev mette bene in luce quei momenti della Dama che ricordano il Čajkovskij ora cameristico, ora sinfonico e altrettanto efficacemente sa evocare la magia mozartiana nella festa del secondo atto. Dirige a mani nude, con un gesto largo, preciso; più contenuto nei primi due atti, si scalda nel terzo conferendo pathos e profondità prospettica. Il suo lavoro è stato apprezzato dall’orchestra e il risultato si sente.

Opera in tre atti e sette scene

Libretto di Modest Čajkovskij

Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2021/22
PIKOVAJA DAMA (LA DAMA DI PICCHE)
Opera in tre atti e sette quadri
Libretto di Modest Il’ič Čajkovskij
Musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij

Hermann Najmiddin Mavlyanov
Il conte Tomskij/Zlatogor Roman Burdenko
Il principe Eleckij Alexey Markov
Čekalinskij Evgenij Akimov
Surin Alexei Botnarciuc
Čaplickij Sergey Radchenko
Narumov Matías Moncada
Il cerimoniere Brayan Ávila Martínez
La Contessa Julia Gertseva
Liza Asmik Grigorian
Polina Elena Maximova
La governante Olga Savova
Maša/Prilepa Maria Nazarova
Il capo della banda dei ragazzini Beatrice Calori
Milovzor Olga Syniakova

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala
Direttore Timur Zangiev
Maestro del coro Alberto Malazzi
Maestro del Coro di voci bianche Marco De Gaspari
Regia Matthias Hartmann
Scene Volker Hintermeier
Costumi Malte Lübben
Luci Mathias Märker
Drammaturgia Michael Küster
Coreografia Paul Blackman
Aiuto regista Marco Monzini
Nuova produzione Teatro alla Scala

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