Ezio Gribaudo: 93 anni di arte e di passioni

Ezio Gribaudo, decano dell’arte contemporanea, è come un caleidoscopio: sono le sue storie i vetrini colorati. Tante storie che coprono quasi un secolo di incontri e passioni. Basta un movimento impercettibile e appare un paesaggio completamente diverso. Ecco una prima collezione di lettere d’alfabeto, in voluto disordine, in onore del suo novantatreesimo compleanno.

Ezio Gribaudo, 2020 (foto mia)

G. di Giotto. (B). “Come si scopre la propria vocazione?” (G). “Non è che sentissi una vocazione particolare. I pastellini a cera Giotto, quelli col pastorello della leggenda raffigurato sopra – se li ricorda? – sono la più antica immagine che ho nella memoria. Mio padre mi spingeva un po’ verso l’arte, mia madre invece era radetzkiana. (Ride). Era il 1942: mi affascinava e mi attraeva, ma non avevo gli strumenti per farla, l’arte”.

A. Il contenitore/caleidoscopio: lo studio. Parallelepipedi sovrapposti, un cubo che aggetta, vetrate alternate a pareti di cemento. Progettato nel 1976 dall’architetto Andrea Bruno, autore, fra l’altro, del restauro del Castello di Rivoli.

Da inarchpiemonte.it

Cemento armato fuori, legno sagomato dentro, dinosauri volanti alla finestra che inseguono sogni.

Dal salotto dello Studio Gribaudo (foto mia)

N. Dal Novecento al 2022. Una provocazione: “Dopo la Merda d’artista cosa vuole che succeda ancora? Che rivolgimenti? La vera rivoluzione mi sembra sia stato il ritorno all’ordine di Giorgio de Chirico. Sa cosa mi ripeteva spesso de Chirico? Che mi piace camminare assieme ai fantasmi”.

Su de Chirico: Victoria Surliuga, Omaggio a Gribaudo, cap. 24, pp. 227-232 (pdf) e il volume Memorie ritrovate, Skira 2014.

La magia bianca di Ezio Gribaudo (fotogramma dal film, Marco Agostinelli, Andrea Liuzza 2015)

D. Dinosauro. Gribaudo fece il primo incontro col suo animale-totemico ad Alice Spring, dove rimase colpito dal disseppellimento di fossili e scheletri di animali preistorici. I dinosauri, realizzati con tecniche miste, furono esposti per la prima volta alla Galleria “Bergamini” di Milano nel 1987 e alla “Nick Edel” di Torino l’anno successivo. Da quel momento non lo hanno mai abbandonato.

L. Logogrifi. Lo scrittore Giovanni Arpino sulla creazione dei celebri logogrifi [dal fr. logogriphe, comp. del gr. λογο- (scegliere, raccontare, enumerare, parlare, pensare) e γρῖϕος ‘rete; discorso intricato; enigma’], definita un

atto stregonesco […] puro, fiducioso, mai soggetto ad allucinazioni, mai produttore di paure.

Logogrifo ER (1969), Moma, New York

I. Ispirazione. “Chi è quel signore sulla sinistra?”, mi domanda – come da rito – Gribaudo la prima volta che lo incontro. Sorrido. Un fascio di luce che proviene da una finestra illumina un barattolo di vernice appoggiato su un tavolo, come in una tela di Vermeer, il resto dello studio in penombra.

“Parigi?”, chiedo. “No, Costa Azzurra”. “Cosa mi dice di lui e di quel ragazzo alla sua destra?”, ribatto. “Picasso era stupito che gli ponessi impunemente delle domande su ogni cosa; sul successo, ad esempio. Mi rispose che c’era un solo segreto. Lavorare quindici o sedici ore al giorno!”

Foto di Giuseppe Inga, 2019
4 Ottobre | 22 Novembre 2020 (col mio saggio I segni dei tempi)

Beethoven vive! Un anniversario in 3d

Ricreare in 3D digitalmente una scultura, colorarla e darle una nuova vita: in una frase il lavoro stupefacente del digital artist Hadi Karimi su Beethoven.

A sinistra Joseph Karl Stieler, 1820, Beethoven Haus, Bonn (il modello) a destra la scultura di Karimi

La prima versione da Stieler, rifinita e idealizzata (2020), dipinta digitalmente.

La seconda versione da Stieler (2021), più realistica, ottenuta dall’osservazione del dipinto e integrando i dettagli della maschera facciale.

A sinistra Franz Klein (1812, Wien, Kunsthistorisches Museum, Sammlung alter Musikinstrumente) a destra la scultura di Karimi.

Per saperne di più: Le due maschere di Beethoven

Il mio libro sui ritratti e la costruzione del mito attraverso l’immagine

Sull’iconografia beethoveniana

Anselma Dell’Olio sullo schermo a colloquio con lo spirito di Federico Fellini

Immediatamente dopo aver visto Fellini degli spiriti, film corale che racconta il regista attraverso chi l’ha conosciuto e per mezzo dei suoi visionari disegni e film, ho telefonato a Selma (detta Anselma) Jean Dell’Olio.

È stato come se l’avessi conosciuta da sempre. Non capita tanto spesso.

Fellini degli spiriti, il documentario su Raiplay

Anselma: Allora, Benedetta, che ti è parso del film?

Benedetta: Magnifico e, nel complesso, una esperienza po’ surreale. Nello spirito di Fellini! Mi ha chiamata qualche giorno prima un amico dicendomi: “Vai assolutamente a vedere questo titolo” senza spiegarmene il motivo. Ho scoperto sullo schermo di conoscere 1/3 delle persone che hai intervistato! Strana esperienza anche perché è stato il primo film che ho visto post (prima) pandemia in un cinema al chiuso. Quand’ero ragazzina e Fellini era morto da poco (Roma, 31 ottobre 1993) si parlava moltissimo di lui alla televisione, sui giornali… Il suo cinema mi stupiva… e affascinava. Di recente, complice il confinamento a cui il Covid ci ha costretti ci ho ripensato meglio… Fellini torna e ritorna nella mia vita da spettatrice. E ora eccomi qui a parlare con te… come nasce questo lavoro?

A.  Ho iniziato a raccogliere materiale su questo documentario prima coil proposito di vederli e rivederli tutti i suoi film: ventitré e “mezzo” (NdA: Alberto Lattuada co-diresse Luci del varietà)! Non sapevo ancora di quali film avrei avuto i diritti: una questione tecnica abbastanza complicata (è stato doloroso, ad esempio, dover rinunciare ad alcuni… ma va bene così, resterebbero altri dieci film da fare su Fellini)… e comunque i suoi lavori, al di là dei diritti concessi o meno, li avrei di certo rivisti tutti, non si finisce mai di scoprirne i tesori… I film di Federico sono stratificati, profondi. Ogni volta ci trovi qualcosa di nuovo.

B. Dai credits mi era parso di capire che anche questo aspetto avesse richiesto un particolare impegno…

A. I diritti internazionali sono complicatissimi. Interi continenti pongono difficoltà, ad esempio quelli de il Bidone mi hanno dato parecchio filo da torcere… la Rai, come sai, ha coprodotto il film, e se non ci sono tutti i diritti di tutti i paesi, non lo possono accettare. Per ogni paese va fatto un discorso a sé… Qui ho avuto il sostegno della Mad Entertainment di Napoli (Luciano Stella e Maria Carolina Terzi). Maria Carolina è colei che ha seguito più da vicino il mio film e che ha dovuto sostenere la rogna infinita di inseguire gli aventi diritto.

Credit: Ronald Grant / Federico Fellini e Giulietta Masina

(Immaginate qui i rumori di fondo interrompere il flusso del discorso: la supera un trattore, mentre Anselma sta camminando in campagna e parlandomi al cellulare)…
Comunque: non esiste un film di Federico meno valido dell’altro, nemmeno uno, anche quelli che al momento della prima visione m’avevano lasciata perplessa.

B. Tipo?

A. Tipo Giulietta degli spiriti o La voce della luna… ero troppo giovane.  Ti devo dire la verità, alcuni non li avevo capiti. E non sono l’unica, nemmeno tra i cosiddetti “specialisti”.

B. Ho rivisto alcune opere di Fellini insieme (ma a distanza) al mio amico Leonardo Vilei, poeta e giornalista. Leonardo mi parlava della visionarietà de La voce della luna e dell’inquietante profezia su Silvio Berlusconi, invitandomi a guardarlo con occhi nuovi. E io gli raccontavo della profonda tragicità del Casanova

A. Strano e non facile, Casanova, un capolavoro assoluto. Un film molto drammatico. Lo sai bene, ogni artista mette se stesso sullo schermo. Questo è l’arte. Tutto viene filtrato attraverso la sensibilità dell’artista, quindi lui o lei mettono se stessi nella loro arte, nella loro interpretazione del mondo. E quindi è un film profondo e sconvolgente allo stesso tempo, parla anche – anzi, sempre – di sé Fellini… La voce della luna è stato un film incompreso da quasi tutti all’epoca. Invece è il maestoso addio – o meglio “arrivederci” – di Federico.

B. Inquietante lo è anche a livello musicale. Se si ascolta la colonna sonora (già solo per la scelta della glass harmonica e dell’arpa, il canto ossessionante dell’automa) si capisce perfettamente che è tagliata su misura per un personaggio drammatico (drammatico come Don Giovanni)… e s’intuirebbe assai del film, senza ascoltare nemmeno un dialogo o vedere un’immagine… (Sul Casanova leggi anche Gabriele Gimmelli su Doppio zero).

A. La musica è – in effetti – assolutamente sconvolgente. Musica che Federico poteva ascoltare solo per lavoro…

B. E poi c’è quell’oboista misterioso de La voce della luna che dice: “è proprio da quelle pause e da quegli intervalli che entrano i fantasmi!”…

quella scena celebre che hai voluto inserire anche nel tuo film (da 4’14”).

La musica mi turba, preferisco non sentirla, è una specie di invasione, di possessione, qualche cosa che entra dentro di me e mi assorbe e mi prende completamente.

Federico Fellini

A. Eppure, lo capisco. Coglie davvero il punto! Ti racconto una cosa: ci incontrammo ai tempi di Ginger e Fred. Abbiamo iniziato a lavorare assieme e poi, per la prima volta, siamo andati a pranzo. Da sempre odio la musica nei ristoranti, negli ascensori, insomma la musica d’ambiente.

B. Che fastidio!

A. Allora: la prima cosa che fece Fellini, a quel tempo, fu quella di andare dal proprietario e dirgli: “Avete un così bel ristorante, perché volete rovinarlo con questa musica da falegnameria?”. Ed è così che mi sono innamorata.

La musica sempre t’impone un mood che non sempre vuoi.

“La musica – come dice l’oboista Sim – fa di te quel ciò che vuole: come puoi difenderti da qualcosa che promette, promette, e non mantiene mai, mai?”

B. Difficile difendersi dalla musica. L’udito è un senso delicato, molto esposto. Puoi chiuderti gli occhi e la bocca, tapparti il naso, ma le orecchie? Si ha bisogno dei tappi…

A. E neanche con quelli si attutisce del tutto. Quella fu una convalida: non avevo trovato nessuno prima di allora che avesse questa sensibilità alla musica identica alla mia, mi sembrava non ci fosse nessuno d’accordo con questo sentire. Ma è anche rispetto per la cosa in sé: Fellini diceva che la musica è umana, ma anche sovrumana.

E’ la più misteriosa delle arti. Non la si deve, non la si può sprecare.

B. Per alcuni è la chiave per accedere a un mondo spirituale, oltremondano…

A. È esattamente questo. Fellini spesso rifletteva: “Non capisco le persone che non s’interrogano sul mistero. Come si fa?” La vita ne è piena. Sono diversi quelli che non hanno a che fare col mistero: ognuno a suo modo. Gli atei, i positivisti, i nichilisti, soprattutto tra gli intellettuali. “Come ti poni di fronte al mistero?” era forse la sua domanda più frequente. E gli altri, tacevano. Non avevano risposte. Erano solo in grave imbarazzo.

B. Ho avuto l’impressione, quando l’ho visto nel tuo film affianco al pianoforte di Rota, che Fellini gli avesse appaltato una parte della sua creatività…

A. Mmm…. non era proprio così. C’era un rapporto tra i due assolutamente speciale. Mistico, direi. Karmico. Per me si sono conosciuti in un’altra vita. Come sostiene (Gianfranco) Angelucci nel film, Rota non era solo la sua “anima musicale”, un fatto abbastanza semplice. Era colui che traduceva in un altro linguaggio il suo linguaggio visivo. Fellini diceva: “Capisco i miei film quando ascolto la musica di Rota”. Sai che faceva, di preciso, Nino Rota?

B. No!

A. Il compositore di solito è chiamato a vedere le “giornaliere”, prima ancora del montaggio, per captare il mood. Ora, quando Fellini faceva vedere a Rota il girato, appena si spegneva la luce, Rota si addormentava. Appena finito, si svegliava, andava al pianoforte e componeva…

Sembrava entrasse in trance. Era un rapporto molto particolare: “iconic” come dice (Damien) Chazelle nel mio film. Era tutto, a ben pensarci, molto particolare con Fellini… non c’era niente di normale, di ordinario.

B. Lo si capisce dalle parole di chi hai intervistato nel tuo film. Sono stati/e ben selezionati, ognuno/a ha sua una precisa individualità. Come li hai scelti/e?

A. Quando lavoravo con lui, i più intimi li ho conosciuti bene e siamo rimasti amici, soprattutto con Fiammetta (Profili) e Filippo (Ascione). Con Leonetta (Bentivoglio) ci siamo conosciute all’epoca e poi perse un po’ di vista; ma certo l’ho chiamata per il rapporto profondo che sapevo aveva avuto con Federico. Me lo sentivo che prima o poi sarebbe tornata, sai come sono queste cose a volte… poi c’è il gruppo degli esperti e degli studiosi, come Andrea Minuz, Gian Luca Farinelli, Philippe Le Guay, il regista de Le donne del sesto piano, lui ha insistito perché intervistassi Aldo Tassone, che aveva appena pubblicato Fellini 23 1/2. Tutti i film (Cineteca di Bologna).

Ho intervistato 35 persone, 25 sono nel film.

B. Ecco, proprio questa pluralità fa del film un lavoro corale. Come attraverso un caleidoscopio lo spettatore può vedere il soggetto attraverso lo sguardo di ognuno degli intervistati…

A. Io non facevo domande “normali”… li dovevo stimolare a pensieri e ricordi altri…di norma sfuggenti ai più.

B. Ed è giusto che sia così. Perché far domande normali sui film di Fellini?

A. Ho fatto molte interviste, e spesso molto lunghe, per scavare in chi avevo di fronte. Quando Proietti ha finito la sua, alla fine ha detto (imita il suo romanesco): “Me sembra d’aver scritto un saggio” (ride)… sai com’è lui, molto simpatico. Icastico.

B. Ho visto proprio di recente, grazie a una segnalazione del compositore Mario Totaro, un documentario sulla sonorizzazione di Casanova

E poi c’è tutta la storia di Rol… ognuno conosce il rapporto di Fellini con lui, ma tu hai saputo scavare a lungo, porre le domande giuste…

A. Rol si è preso un po’ la scena, ho così dovuto tagliare almeno venti minuti di girato e, alla fine, ci ho riflettuto e mi son detta c’è molto materiale magnifico. Lo userò…

B. Cosa succederà ora a Fellini degli spiriti che doveva andare a Cannes (il festival però nel 2020 non è stato programmato)? Il cinema ha ancora difficoltà a reingranare dopo la pandemia…

A. Per un accordo ad hoc di tutti i festival di cinema, si vedrà in parecchi altri. Recentemente è già stato programmato a Bologna da Gianluca Farinelli per il festival “Il cinema ritrovato”. Normalmente all’uscita di un film segue un periodo di viaggi per presentarlo in giro per il mondo. Fellini degli spiriti approderà quindi a Lione dal 10 al 18 ottobre al Festival Lumière di cinema classico 2020 insieme con tutta la Selezione Ufficiale di Cannes Classiques. E’ diretto, il Lumière, da Thierry Frémaux, lo stesso direttore artistico del Festival di Cannes.

B. In bocca al lupo!

S. Crepi!

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Nino Rota sul lettino dello psicoanalista Fellini

Una chiacchierata con Filippo Gorini

L’exploit di Filippo Gorini nel mondo della musica è avvenuto con la vittoria della celebre International Telekom Beethoven Competition Bonn (2015, primo premio, premio del pubblico e premio Beethoven-Haus), cui seguì l’incisione nel 2017 delle Variazioni Diabelli pubblicate per Alpha Classics.

Sospettando una comune affinità elettiva beethoveniana, lo incontro a Ravenna in occasione del suo recital alla Rocca Brancaleone, in una chiacchierata informale che nasce come proseguo di una conversazione svoltasi su Facebook con Alexander Lonquich e da quella prende le mosse.

Tuoi modelli di riferimento nell’interpretazione pianistica? Quali sono?

Più passa il tempo, più allargo il mio orizzonte di ascolto e la scelta degli interpreti da cui traggo ispirazione. Fondamentali per me: Pollini, sono letteralmente cresciuto ascoltandolo, Brendel, e per altri versi Richter e Edwin Fischer.

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