Saper perdere: cosa mi ha insegnato un mio allievo delle scuole elementari

Ho insegnato per cinque anni nelle scuole primarie.

Una mattina di sole, dopo la consegna di una prova di scienze andata piuttosto male, uno dei miei allievi mi rimproverò di non apprezzare i sforzi che aveva fatto e “di avercela con lui”. “Tu mi odi, maestra”, disse.

Forse lo avevo preso di mira e forse aveva ragione. Ma, quel che conta, è che con le sue rimostranze riuscì a farmi vedere me stessa, come insegnante, dal di fuori e a interrogarmi sul significato del mio lavoro.

Stavo facendo davvero la cosa giusta? (Non affronto qui il tema, troppo ampio, se sia giusto o sbagliato dare dei voti a dei bambini di seconda elementare…). O potevo migliorare? Stavo comunicando male? Avevo dei pregiudizi nei confronti suoi (e anche della famiglia da cui proveniva)?

Muhammad Ali al tappeto

A volte, concentrati solo sull’insegnamento (e sui tanti compiti burocratici che affliggono tutti gli insegnanti, delle scuole di qualsiasi ordine e grado), si riflette poco su quello che si sta facendo. E questo bambino con la sua scenata di fronte alla classe, alla cattedra, mi fermò per un attimo. Non era solo un bambino deluso e capriccioso: aveva sicuramente colto nel segno.

La morale della favola? Non (o meglio, non solo) il mio senso di colpa per essermi ritrovata a sentirmi, all’improvviso, una cattiva insegnante.

Non era una lezione di scienze che stavo insegnando e non stavo solo consegnando a un allievo una prova scritta, dal mio punto di vista insoddisfacente. Non stavo neanche mettendo un freno ai capricci di uno scolaro:

in quel momento abbiamo imparando, assieme, che – a volte – si perde.

E saper perdere è una delle lezioni migliori che si possono imparare dalla vita. Non sempre te la insegnano a scuola.

Glenn Gould prova e riprova la Seconda Partita di Bach