Meditazioni all’Eremo di Santa Caterina del Sasso

Arduo sarebbe comparare l’esperienza vissuta allo Stresa Festival, il 25 e 26 luglio scorsi (2017). Da Stresa si prende il lago su un battello, appositamente destinato agli ascoltatori, alla volta di Leggiuno, dove si raggiunge l’eremo di Santa Caterina del Sasso: una meraviglia addossata dal XII secolo alla roccia, dove l’uomo sembra aver strappato alla natura quiete, riposo, raccoglimento dello spirito.

Non a caso i concerti che si tengono lassù dal 1999 si chiamano “meditazioni in musica”. Le mura dell’eremo hanno accolto in questi anni la musica di alcuni interpreti di rilievo come David Geringas, Enrico Dindo, Colin Carr, Jan Vogler, Mario Brunello, Miklós Perényi. La formula è semplice: tutti sono chiamati a misurarsi con le Suite di Bach; sempre all’eremo. (Affianco alle due serate evergreen il Van Kuijk Quartet, vincitore del Concorso Wigmore Hall 2015, è chiamato la sera del 27 luglio a esibirsi nella romanica chiesa vecchia di Belgirate, sempre nell’ambito delle meditazioni in musica). Quest’anno la scelta è ricaduta sul talentuoso Maximilian Hornung il quale ha già fatto incetta del celebre ECHO Klassik-Preis con l’incisione del concerto di Dvořák – qui il recensore paludato aggiungerebbe che Hornung è classe 1986, ma sono convinta che a saper fare qualcosa in modo eccellente l’età conti poco – oltre che primo premio al concorso ARD nel lontano 2007.

 

Salpati dall’attracco di Stresa è comunque difficile trattenere lo stupore per tanta bellezza: ci si inerpica su una scala scavata nella roccia e si approda al luogo del raccoglimento, a picco sul lago. L’umidità ci è amica e, nonostante il caldo, lo strumento di Hornung reagisce magnificamente alle condizioni microclimatiche dell’eremo. Per ragioni pratiche Hornung sceglie di ripartire le Suite partendo dalla prima, facendo seguire quarta, intervallo, e sesta nella prima serata; la terza, la seconda e la sesta lasciandole alla seconda serata. Suona a memoria nella prima parte del concerto; con la partitura nella seconda parte (scopriremo con un certo stupore poi che la sesta Suite è per lui e per noi questa sera la prima esecuzione in pubblico).

Le Suite per violoncello sono lette senza retorica, e suonano – con un gusto tutto speciale per il ritmo – più barocche che mai.

La forza di Hornung sta nel saper rendere nuova una partitura molto celebre, fornendo un’interpretazione convincente. Cantabilissima la quarta, in mi bemolle maggiore, impervia la sesta, destinata a un violoncello piccolo, suonata qui da Hornung su uno strumento normale. Si starebbe ad ascoltarlo non solo per due serate, ma ancora e ancora, senza un momento di deconcentrazione, senza stancarsi. Ogni tanto capita che questo giovane uomo tedesco si trasfiguri, davvero con un rapimento quasi mistico, che ricorda lo sguardo fisso sul traguardo di un maratoneta alla partenza, oltre se stesso, oltre la musica.

© Valentina Manchia

Con Mysterium Scriabin si auspicava la totale, sinestestica unione spirituale degli spettatori alle pendici dell’Himalaya. Se avesse visto l’eremo di Santa Caterina, e ascoltato Hornung , Scriabin avrebbe intuito che non c’è posto migliore di Leggiuno per trovare la comunione spirituale in musica.

Ricordi e affetti (Antidogma)

Ricordi e affetti

• Corrado Saglietti: Souvenirs

• Richard Wagner: Sigfried Idyll

• Arthur Honegger: Pastorale d’été

• Johann Sebastian Bach:  Concerto in mi maggiore BWV 1042 per violino, archi e continuo

Gli inediti Souvenirs per corno e archi di Corrado Maria Saglietti, oggi in veste di solista oltre che di compositore, sono una suite in quattro parti: Buenos Aires, Venezia, Los Angeles, Parigi. Buenos Aires si apre in sol minore con un sensuale accordo, quasi una domanda, del violoncello solo cui risponde il corno. In tempo moderato, è il brano più lungo dei quattro, giocato su sonorità soffuse ed evocative (piano, mezzopiano, mezzoforte). Venezia, in 6/8, nella tonalità di re maggiore, ha un languore tutto diverso dal precedente Souvenir, qui suggerito dal pizzicato degli archi e dalle sonorità leggere, ariose, del corno. Los Angeles vi sorprenderà con suoni metropolitani concitati e per la varietà di gesti e d’intonazioni richiesti soprattutto al cornista. Parigi è un pezzo spigliato, breve, chiuso da una vorticosa coda in si bemolle maggiore. Ha una sua fisionomia distinta: il corno deve suonare come un mandolino e al secondo violino è richiesto talvolta l’uso del plettro, oltre che dell’arco.

L’Idillio di Sigfrido, poema sinfonico per piccola orchestra (flauto, oboe, due clarinetti, fagotto, due corni, tromba, due violini, viola, violoncello e contrabbasso), fu dedicato da Richard Wagner alla seconda moglie Cosima, ed eseguito a sorpresa la mattina del giorno di Natale 1870, sulla scala fuori della sua stanza da letto, per festeggiare il suo trentatreesimo compleanno e la recente nascita del loro terzo figlio Siegfried, nella villa di Tribschen, in Svizzera. La destinazione, alla madre e al neonato, e le indicazioni di tempo annotate in partitura, l’essenzialità del discorso musicale suggeriscono l’intimità di una ninna nanna, più che la maestosità della scena omonima dell’opera. Inoltre l’oboe cita sullo sfondo degli archi la ninna nanna “Schlaf’, Kindchen, schlafe”, un significato musicale in chiave, che nel suo diario Richard aveva già legato alla figlia maggiore, Eva. I temi principali dell’Idillio, tratti dal Siegfried (terzo pannello dell’Anello del Nibelungo), s’intrecciano qui in un gioco contrappuntistico. La composizioneprese il titolo di Siegfried-Idyll quando nel 1878 Wagner, a causa di problemi economici, sarà costretto a venderlo all’editore Schott per la pubblicazione: venne meno il suo carattere privato e gli strumentisti salirono a trentacinque.

La Pastorale d’été è stata scritta da Arthur Honegger nell’estate 1920, durante la villeggiatura a Wengen, sulle Alpi svizzere sopra Berna. È posto in esergo alla partitura verso di Rimbaud «J’ai embrassé l’aube d’été». Questo breve poema sinfonico per orchestra da camera (flauto, oboe, clarinetto in si bemolle, fagotto, corno e archi) ha una qualità atmosferica, estatica, quasi impressionistica. Il Calme è intessuto dalle melodie dei fiati, tra cui spicca la sonorità del corno, e gli sfavillii di flauto e clarinetto, sullo sfondo tranquillo degli archi. La sezione centrale Vif et gai ha un’orchestrazione più mossa, come se irrompesse nella tranquillità iniziale una musica campestre. L’atmosfera si rarefa di nuovo quando ritorna il primo tema e con esso la pace iniziale. Eseguito per la prima volta a Parigi il 17 febbraio 1921, terza fra le opere sinfoniche di Honegger, impose l’autore all’attenzione del mondo musicale, fu salutato positivamente dalla critica e gli valse il Prix Verley.

Il Concerto per violino, archi e basso continuo in mi maggiore BWV 1042 risale al periodo in cui Bach era al servizio del principe Leopoldo a Köthen, nell’Anhalt (1717-1723), una corte in cui la musica sacra era limitata agli inni calvinisti e che quindi favorì la produzione di musica strumentale da parte del compositore. Attraverso la stampa delle partiture vivaldiane, i concerti italiani in tre tempi (il primo e il terzo veloci, il secondo lento), che anche Bach ebbe modo di studiare e trascrivere, erano diventati l’ultimo grido. L’Allegro di questo concerto è modellato sullo stile del concertismo barocco veneziano: le parti orchestrali e del solista (che interviene sempre brevemente) seguono la forma ABA. La cesura mozzafiato fra B e A è riconoscibile dalle due battute a solo del violino. Il concerto di Bach si allontana comunque dal genere vivaldiano preso a modello, poiché è maggiore l’elaborazione tematica, che riguarda qui tutti gli elementi del discorso concertante. Protagonista dell’Adagio centrale un’intensa, patetica elegia del violino solista (in do diesis minore) che si staglia su un disegno ostinato del basso continuo. Il terzo movimento Allegro assai, di nuovo in mi maggiore, procede come una danza in tempo ternario (3/8), dominata dalla simmetria e dalla forma a ritornello.

Scritto per Antidogma Musica

pdf