Il concerto finale del Festival di Musica antica, che si svolge da trentaquattro anni a Magnano (Biella), apre le porte della splendida Chiesa di San Secondo, una pieve romanica d’inaudito splendore che dal XI secolo si trova poco oltre il crinale della Serra Morenica di Ivrea.

Il pubblico affolla la piccola chiesa a tre navate in una sera di fine estate per ascoltare musica da camera in un allestimento tanto semplice, quanto scenografico: un concerto a lume di candela. Cosa rende così speciale questo sabato 31 agosto 2019?
Il primo è un motivo storico: questa chiesetta in mezzo ai boschi è testarda e resistente (mi pare che in questo sia simile alla caparbietà del padre del festival Willy Brauchli che rende un meritorio servizio musicale alla sua terra d’adozione). In origine, nel XII secolo, la pieve era attorniata dall’antico borgo di Magnano. Quando due secoli più tardi la popolazione si trasferì a vivere sul cucuzzolo (dov’è oggi l’attuale Magnano) perse la sua centralità. Non essendoci motivo di conservare l’antica chiesa romanica (la nuova parrocchia era diventata Santa Marta), nel 1606 si decise per la sua demolizione al fine di recuperare il materiale edilizio per la nuova chiesa. I fedeli si opposero, ottenendo che la pieve rimanesse attiva: e così fu. Nel diciannovesimo secolo la storia ricominciò da capo e nel 1968 un cantiere la restituì finalmente alla sua maestosità (che speriamo ora duri in eterno).
Il secondo è un motivo di ordine pratico: la chiesa è praticamente sempre chiusa ed è grazie a questo Festival se la si può visitare e se le sue mura possono rallegrarsi e riprendere un po’ di vita con questi suoni.
Il terzo, infine, è un motivo prettamente musicale: non solo perché l’Aglàia Ensemble (Cinzia Barbagelata, violino, Jorge Alberto Guerrero, violoncello, Enrico Barbagli, clavicembalo) è una compagine di ottimo livello, ma anche perché impagina un concerto di musica barocca (dal titolo Il canto del contrappunto, il violino italiano nella musica di Bach) in modo originale e assai raffinato anche per chi ha consuetudine con il barocco.

Affianco al più noto Bach delle Sonate BWV 1023 in mi minore e BWV 1021 in sol maggiore, l’Aglàia fa ascoltare l’Invenzione “La Pace” di Francesco Antonio Bonporti (che hanno inciso per Stradivarius e si ascoltano anche su Spotify) Op. 10 n. 4 in sol minore; un italiano quindi che nasce a Trento, studia a Roma, forse con Corelli, e finisce la sua vita a Padova (e del quale Bach trascrisse per clavicembalo i suoi brani per violino op. X, 1712). Segue la Sonata IV Op. 1 in la minore di Evaristo Felice Dall’Abaco che nasce a Verona, si sposta a Modena e finisce la sua carriera a Monaco di Baviera: è un esponente del violinismo italiano tardobarocco, meno celebre di Corelli e di più raro ascolto. Chiude la prima parte la Sonata XI Op. 2 in re maggiore di Vivaldi mostrando così alle orecchie del pubblico quali trasformazioni ha fatto la letteratura violinistica nel breve arco di sessant’anni (Bonporti, Dall’Abaco e Vivaldi nacquero tutti negli anni ’70 del Seicento e morirono negli anni ’40 del Settecento). Un programma eseguito con virtuosismo, ma anche “da manuale”: la storia del violino barocco che si snoda di fronte ai nostri occhi passando attraverso l’Italia e arriva alla Germania di Bach in modo consequenziale, quasi come un passaggio di consegne (sono note le innumerevoli trascrizioni che Bach fece di Vivaldi).
Chiudono con un bis cembalo e violino, in do minore, Bach, Sonata BWV 1017 n. 4.
Arrivederci al prossimo anno!
