Aula A – Sala della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea
Palazzo Mattei di Giove, via Caetani 32, Roma
Reti di comunicazione, spazi d’indagine: tre percorsi di analisi della circolazione di uomini e idee nell’Europa del Settecento
Coordinatrice | Alessia Castagnino (Fondazione L. Einaudi, Torino)
Angela Falcetta (Università di Padova), Mercanti di «nazione greca» in Terra di Bari: commerci mediterranei, reti sociali e comunità oltre i confini etnici e confessionali
Benedetta Saglietti (Università di Torino), La mobilità professionale dei musicisti in area austro-tedesca
Alessia Castagnino (Fondazione L. Einaudi, Torino), Attraverso la “lente” delle traduzioni: i traduttori come mediatori culturali nella Toscana leopoldina
Discussant | Alessandro Arcangeli (Università di Verona)
Una caricatura dell’organo oculare di Louis-Bertrand Castel. Charles Germain de Saint Aubin, 1740-circa 1757. Waddesdon, The Rothschild Collection (The National Trust) “Que n’ont ils tous Employés leurs tems à la même Machine”. (Collocazione 675.302) collection.waddesdon.org.uk
Come citarlo:
Benedetta Saglietti: “Dal clavecin oculaire di Castel al clavier a lumieres di Skrjabin”. In: Metamorfosi dei Lumi 6. Le belle lettere e le scienze, a cura di Simone Messina e Paola Trivero, Accademia University Press, Torino 2012, pp. 187-205.
Abstract
Il padre gesuita Louis Bertrand Castel (1688-1757) è oggi ricordato per l’invenzione del clavicembalo oculare, strumento che voleva soddisfare la vista e l’udito attraverso la produzione contemporanea di colori e suoni, la cui ideazione fu annunciata per la prima volta nel 1725 sul Journal de Trévoux. Nonostante esistano molti cenni allo strumento e al suo inventore sparsi qua e là nella letteratura secondaria italiana e straniera, entrambi apparivano nel contesto della riflessione filosofica attinente al Settecento francese ancora abbastanza indistinti. Soprattutto, restava ancora aperta a riguardo qualche interessante domanda.
Fin dal XVII secolo il dibattito attorno alla natura fisica della luce e dei colori fu una delle controversie fondamentali della scienza e, inoltre, la discussione dell’analogia – vera o presunta che fosse – di suono e colore non era certo dominio del solo Castel. Egli fu, tuttavia, il primo a immaginare uno strumento che li potesse unire.
Chi era padre Castel? Quale la sua speculazione e il suo ruolo nella Francia del tempo? Cos’è davvero il clavicembalo oculare? È mai esistito? A cosa doveva servire? C’è un rapporto tra quello strumento e le invenzioni più moderne per produrre luce e suoni? Tali i quesiti di partenza.
La scintilla della ricerca è scoccata in me grazie alla curiosità suscitata dalla potentissima somiglianza tra l’idea di Castel e quella del clavier à lumières che Aleksandr Skrjabin (1872-1915) ideò nel 1911 per la sua composizione Prometeo. Invenzione che, come il clavicembalo oculare precorreva i tempi, ma era più facilmente “pensabile” poiché, nel frattempo, era stata inventata la luce elettrica.
Davvero, a duecento anni di distanza, uno strumento musicale quasi identico (prima un clavicembalo evolutosi nel frattempo in pianoforte) teneva ancora occupata la mente di un uomo quale Skrjabin, compositore russo, francofono, appassionato di teosofia, che difficilmente avrebbe potuto essere più diverso da Castel, gesuita francese? Era plausibile che un’idea nata nel XVIII secolo svanisse – almeno così mi era parso all’inizio – per ricomparire quindi tutt’a un tratto nel XX?
Dopo la morte di Castel lo strumento continuò a far parlare di sé, sebbene in modo intermittente, fino alle soglie del Novecento. L’unione della musica e del colore, così come l’assonanza fra i due fenomeni, è stata una suggestione di rilievo sia dal punto di vista della storia delle idee sia da quello meramente storico. Un’idea che ha affascinato filosofi, musicisti, letterati, capace di giungere attraverso alcune interessanti metamorfosi fino ai nostri giorni.