Ravenna Festival 2017: Uccidiamo il chiaro di luna i futuristi alla prova con la danza

  • Valentina Manchia e Benedetta Saglietti, Silvana Barbarini, un secolo di forme in azione

“La danza ha sempre estratto dalla vita i suoi ritmi e le sue forme”: inizia così il Manifesto della danza futurista con cui Marinetti si riprometteva, quasi dieci anni dopo la pubblicazione del celebre manifesto del 1909 e a cent’anni da oggi, nel luglio del 1917, di espandere lo sguardo futurista anche alla danza, secondo quelle ambizioni da arte totale che avevano preso le mosse da poesia, pittura e scultura e sarebbero arrivate, di lì a pochi anni, fino alla gastronomia.

Nella danza l’obiettivo è tendere “a quell’ideale corpo moltiplicato dal motore”, alla radice del pensiero futurista, metà uomo metà macchina, affascinato dal metallo delle fabbriche e delle armi. È, infatti, l’assolo della danzatrice-aereo, in attillata tuta argentea, un acme dello spettacolo: l’ibrido di una donna nuova, scattante, asciutta e muscolosa, dal fascino moderno (“L’arte e la guerra sono le grandi manifestazioni della sensualità; la donna è il grande principio galvanizzante al quale tutto è offerto”, così nel 1919 il Manifesto della lussuria futurista), e di una macchina che ha conquistato tutti i cuori futuristi. Vanno così in scena la velocità e l’accelerazione, già portate su tela e impresse nel bronzo da Boccioni, in primis, così come il ritmo e il concatenarsi serrato e metallico di azioni e conseguenze, come proiettili lungo una mitragliatrice.

È proprio la mitragliatrice, insieme allo shrapnel e all’aeroplano, la protagonista di uno dei momenti del manifesto del 1917 – felice unione di teoria teatrale e di sceneggiatura – che Silvana Barbarini ha portato sulla scena in Uccidiamo il chiaro di luna (1997-2015), al Teatro Alighieri di Ravenna lo scorso 1° giugno in occasione del Ravenna Festival 2017, riallestito nell’ambito del Progetto RIC.CI (Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni ’80/’90), la cui ideatrice e direttrice artistica è Marinella Guatterini.

Un’edizione del Ravenna Festival che annovera nel suo nutrito programma anche un versante extraeuropeo, con la rarissima opera Vittoria sul sole (1923), il capolavoro del futurismo russo, in prima esecuzione italiana sempre all’Alighieri, di cui scrive Serena Carbone in questo Speciale. Si trattava di un poker d’assi: il poeta Aleksej Krucenych, librettista, il compositore Michail Matjusin, e il celebre Kazimir Malevic, pittore, responsabile delle scene e dei pazzi costumi.

Uccidiamo il chiaro di luna nasce dalle frequentazioni futuriste di Barbarini, prima fra tutte la collaborazione con Giannina Censi, la danzatrice classica che, dismessi gli abiti dell’accademia, fu la prima e la più acclamata interprete del futurismo nella danza, soprattutto nella stagione degli anni Trenta quella in cui impazzava l’aerofuturismo di Tullio Crali, e condensa una riflessione, al contempo filologica e scenica, sui principali testi futuristi. Al fecondo dialogo di Barbarini con Censi, di cui è stata allieva, hanno dato corpo, voce e suoni i talenti della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano.

Nello spirito di Marinetti e soci Barbarini rilegge le danze del già citato Manifesto e alcuni dei principali testi poetici futuristi, come Zang Tumb Tuuum (ovvero Il Bombardamento su Adrianopoli del 1912, apparso in veste definitiva nel 1914), nella revisione di André Laporte, a Ravenna diretto da Emanuele De Checchi: la prima delle parolibere futuriste a occupare la forma libro come un campo di battaglia e a dispiegarsi sulla pagina, lettera dopo lettera, sfruttandone il bianco in senso spaziale.

La danza, arte del corpo in movimento, è essere chiamata al confronto con la messa in scena tipografica delle tavole parolibere, in cui le onomatopee che si dispiegano da un angolo all’altro della pagina rendono sonore le macchine di cui si raccontano le gesta (Zang Tumb Tuuum, appunto) e la manipolazione dei corpi tipografici, ora enormi ora minuscoli, ora schierati in ordine ora in collisione gli uni contro gli altri, porta movimento e azione sotto gli occhi di un lettore che diventa spettatore.

Quei corpi tipografici che diventano veri e propri corpi, dotati di volontà e spessore, sulle tavole parolibere, si fanno reali nello spettacolo orchestrato da Barbarini, trasposizione dell’esplosione parolibera in movimenti scenici e coreografici che inglobano e utilizzano anche lettere e parole, attraverso l’esibizione di cartelli a mo’ di sovratitoli per legger meglio l’azione, come da indicazioni di Marinetti, o le tavole parolibere di Depero e Severini, indossate e srotolate come mantelli.

Altro protagonista sulla scena è il colore, sempre iconico, tanto nei pannelli monocromo che fanno da sfondo all’azione quanto nei costumi (Donatella Cazzola, Enza Bianchini, Nunzia Lazzaro) e nelle luci di Paolo Latini. È stato scritto che alcune danze concepite nel Manifesto della danza sono a piedi nudi e “su silenzio”: dalla danza è dunque estromessa l’antica componente principe, la musica. In verità è proprio il ritmo di piedi e di mani a scandire la parte scenica, un ritmo corporeo indicato da Marinetti nel manifesto con estrema precisione, che andava letto e interpretato con orecchio attento, e si tramuta efficacemente sulla scena con scrupolo filologico. Uno scorrere quindi di voci, canzonette, declamazioni di Marinetti, Cristiano Censi, Tullio Crali supportate dalle accurate ricerche musicali di Daniele Lombardi.

La parte uditiva guida lo spettatore in uno spettacolo così moderno da risultare poco contemporaneo: in alcuni momenti di Uccidiamo il chiaro di luna si ascolta infatti, come in filigrana, la voce guida del poeta delle parole in libertà, recuperata da registrazioni d’archivio – una radio in scena, tutta sola, lucente glorificazione della riproduzione musicale tecnologicamente più avanzata, è per un breve momento l’unica protagonista – o la lettura della sceneggiatura che regge l’insieme, come a tracciare un filo lungo l’esplorazione di un universo inedito, costituito di frammenti di opere diverse, ma accomunate da uno slancio comune.

Uno spettacolo totale trasformato, dal lavoro di ricerca di Barbarini lungo quasi vent’anni, in un’esibizione corale e non nell’exploit di un singolo danzatore, nella magnificazione di quella passione per le forme in azione che ha contraddistinto la visione visionaria di Marinetti e dei suoi.

Ravenna Festival, fino al 22 luglio

http://www.ravennafestival.org/events/uccidiamo-chiaro-luna/

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