In queste molte settimane di riposo forzato, ci siamo resi conto di essere inutili. Non che non lo sapessimo anche prima: se lo Stato è oggi il maggior committente (e pagatore) degli artisti, è evidente che oggi quello stesso Stato ha dei problemi ben più gravi di cui occuparsi. Nelle prime settimane – il 4 marzo 2020 è stata decisa una prima chiusura dei sipari fino al 3 aprile scorso – forse in virtù della nostra irrilevanza, è sembrato opportuno tacere. Poi sono cominciate le esecuzioni, amatoriali e non, dai balconi e quelle dei professionisti on-line: ben vengano, in tempi di teatri vuoti, meglio di niente. Le sarte del Teatro Regio di Torino, meritoriamente, hanno cucito mascherine e le hanno donate, in una città dove di mascherine gratuite non ce n’è ancora traccia (fonte: Il Giornale della Musica).
Abbiamo riscoperto però che il grado di inutilità è vario e che non tutti sembrano esserlo allo stesso modo (per parafrasare Orwell “Tutti gli artisti sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri”, o per citare Cesare Galla “Tutti sono pienamente nel diritto di essere considerati parte integrante della società, fuori dalla retorica della bellezza”; fonte Le Salon Musical). Nel mondo dello spettacolo – vale la pena sottolinearlo ancora una volta? – uno dei ben noti problemi sono il lavoro “a chiamata” e il non raggiungimento delle trenta giornate contributive necessarie a ottenere il sussidio temporaneo (nella guerra tra poveri, una vera beffa, Beatrice Manca sul Fatto Quotidiano ne ha scritto assai bene; allargando lo sguardo hanno riflettuto sulla questione anche Paola Dubini e Valentina Montalto su Doppiozero.com).
https://www.lesalonmusical.it/lerba-del-vicino-e-sempre-piu-verde/