Le due maschere di Beethoven: iperrealismo, mitopoiesi e arte funebre

th2__Copertina_Sandrin_20141126091348

Le due maschere di Beethoven: iperrealismo, mitopoiesi e arte funebre, in:

L’immagine come pensiero.

Forme e metamorfosi dell’ideale umano da Herder a Benjamin

a cura di Chiara Sandrin,

pp. 162,  € 15, Torino, Trauben editore

Questo saggio affronta tre argomenti: dapprima esamino come la realtà, attraverso la maschera da vivo di Beethoven, s’insinuò in un’opera d’arte (il suo busto modellato da Franz Klein). In questa prima sezione metto a fuoco quale responsabilità abbia l’artista nel riprodurre un soggetto, vale a dire quale sia la riproduzione del reale “legittima” .

Discuto poi della mitopoiesi beethoveniana, ovvero la metamorfosi che l’immagine del compositore, in atto già quando era ancora in vita, subì nelle parole di chi lo incontrò personalmente.

Affronto infine la genesi della maschera funebre in parallelo col racconto del decesso del compositore tramandato da un suo contemporaneo. Sarà risolto un grande mistero e data risposta alla domanda: perché sempre più spesso si confonde la maschera di Beethoven “dal vivo” di Franz Klein (1812) con quella funebre realizzata da Josef Danhauser nel 1827?

Alcuni riferimenti iconografici:

Franz Klein, maschera dal vivo di Beethoven, 1812, Beethoven-Haus, Bonn

Anton Dietrich, gesso tratto dal busto di Beethoven, 1890 circa

Arnold Hermann Lossow (da Anton Dietrich), busto di Beethoven (occhi con le pupille), Walhalla

Josef Danhauser, gesso tratto dal busto di Beethoven, 1890 circa

Franz Kleinbusto di Beethoven, realizzato con l’ausilio della maschera, 1812, Kunsthistorisches Museum, Sammlung alter Musikinstrumente, Neue Burg, Wien

Franz Klein, fine XIX sec.-inizio XX sec., copia in bronzo di H. Leidel del busto di Beethoven del 1812, Beethoven-Haus

Ferdinand Schimon, Beethoven, 1819, Beethoven-Haus

Josef Danhauser, calco in gesso della maschera mortuaria di Beethoven, post 1827, Beethoven-Haus

 

 * * *

Il tema era stato oggetto di presentazione nel ciclo di incontri seminariali di letteratura, arte e filosofia, a cura di Chiara Sandrin, nell’ambito della ricerca “La responsabilità dell’arte”:

Bild, Vorbild, Nachbild. Immagine, forma, metamorfosi dell’umanità come ideale.

20 febbraio 2013, h. 18, III piano, Palazzo Nuovo, Torino

Le due maschere di Beethoven

Locandina dell’incontro

Le cinque maschere di Beethoven nella Laurence Hutton collection, Firestone Library, Princeton University

La maschera di Franz Klein posseduta da Theodore Thomas, fondatore della Chicago Symphony Orchestra

I ritratti di Beethoven su “Síneris”

Ripensare l’iconografia beethoveniana oggi. Breve storia di una disciplina bistrattata

  • L’iconografia beethoveniana dagli albori a oggi: una sintesi
  • La piattezza dell’icona e la poliedricità dell’immagine di Beethoven

su Síneris. Revista de musicología, n. 6 in spagnoloin italiano

e con una mini playlist su Youtube

A sx. un’opera di Gail Stoicheff, The Prince 2011 © Tincaart, commissionata dall’International Beethoven Festival; a dx. Anton Boch, il vecchio (1830-1884), post 1827, dal disegno di G.E. Stainhauser von Treuberg (ribaltata rispetto all’originale).

Una riflessione a margine. Come cambierà il modo di vedere l’arte, grazie a siti tipo artstor.org o  Googleartproject?

È facile dimenticare come l’idea stessa di espressione digitale implichi un compromesso che ha implicazioni metafisiche. Un dipinto a olio non può veicolare un’immagine creata con un altro mezzo; è impossibile far sì che un dipinto a olio assomigli a un disegno a china, per esempio, o viceversa. Ma un’immagine digitale con una risoluzione sufficiente può catturare qualunque genere di immagine percepibile; o, almeno, è quello che si potrebbe credere se su ha una fede eccessiva nei bit. Naturalmente, le cose non stanno davvero così. Un’immagine digitale di un dipinto a olio rimarrà sempre una rappresentazione, non un oggetto reale. Un dipinto reale è un mistero insondabile, come ogni altra cosa reale. Un dipinto a olio cambia col tempo; la sua superficie si crepa. Ha una tessitura, un odore, emana una sensazione di presenza e di storia. […]

Le rappresentazioni digitali possono essere molto buone, ma è impossibile prevedere tutte le modalità con cui una rappresentazione potrebbe essere usata. Per esempio, si potrebbe definire un nuovo standard tipo il MIDI per rappresentare i dipinti a olio che includa odori, crepe e così via, ma si scoprirà sempre di aver dimenticato qualcosa come il peso della tela o il suo grado di tensione.

Jaron Lanier, Tu non sei un gadget, trad. it. Marco Bertoli, Mondadori, Milano 2010, pp. 175-6.