Roman Vlad: una storia nella musica

Roman Vlad, Vivere la musica. Un racconto autobiografico, a cura di Vittorio Bonolis e Silvia Cappellini

Einaudi editore, Torino 2011, Collana: Super ET,

pp. VI – 239, € 14; e-book € 9,99

Roman Vlad, compositore, pianista, musicologo, anche se a lui non piace definirsi tale (il suo ultimo saggio, su Aleksandr Skrjabin, è uscito da Passigli l’anno scorso), è un grande affabulatore. La sua vita compendia una storia della musica o è una storia nella musica. «Sono immerso nella musica da quando ho memoria di me» è la dichiarazione che apre questo racconto autobiografico.

Qualche anno fa l’ho sentito presentare un concerto (il Sacre di Stravinskij trascritto per pianoforte a quattro mani) nell’ambito del festival MiTo, che a quel tempo si chiamava ancora Settembre Musica, e ho capito: Vlad è un animale da palcoscenico e, quando racconta una storia, ruba la scena a tutti. Gli episodi narrati sono sorprendenti, ma il modo con cui li porge a chi l’ascolta è semplice, diretto, privo di fronzoli.

Da questo libro Einaudi, grazie alla cura di Vittorio Bonolis e Silvia Cappellini, balza fuori quello stesso Vlad che ascoltai a MiTo. In parte, in ogni biografia ci sono fatti, dettagli o sfumature romanzati («la vita raccontata in una certa sequenza non è la vita vissuta», ha scritto Leonardo Vilei), ma qui la serie degli incontri e degli avvenimenti è tale che non può passare inosservata e per capirlo basta scorrere l’indice. Una mirabile sequenza che ricorda la notte al Majestic ricostruita da Richard Davenport-Hines, in cui i coniugi Schiff, ricchissimi inglesi appassionati d’avanguardia, vollero riunire Djagilev, Stravinskij, Picasso, Joyce e Proust, tutti insieme per un’unica volta. La differenza è che nella biografia di Vlad gli incontri eccezionali, le amicizie che nascono e le collaborazioni che si consolidano non sono limitate a una serata, ma costellano la sua intera vita.


In questa storia figurano “quelli che contano”, c’è l’ambiente della critica musicale e dell’establishment culturale (a Roma ci sono, tra gli altri, Luciano Emmer e René Clair per i quali Vlad compose musica da film, Giorgio de Chirico e Gino Severini, Cesare Brandi che duetta al pianoforte con Montale, baritono, oltre che poeta, e poi Renato Guttuso, Giorgio Morandi, Giacomo Manzù, Aldo Palazzeschi), ma su tutti giganteggiano: l’indimenticato maestro Alfredo Casella e l’amico Igor Stravinskij, di cui il Nostro scrisse un’acuta analisi critica nel 1958 (Einaudi).

«Casella era alla guida della sua automobile, un mezzo piuttosto costoso […], si fermò, chiamò [Mascagni] invitandolo a salire a bordo. Mascagni aderì e Casella gli disse: “Sai, questa macchina l’ho appena comprata con i soldi guadagnati in America dirigendo le tue musiche”. Mascagni sarcastico replicò: “Sfido io, lo credo bene, se tu avessi diretto le tue musiche, manco una bicicletta ci compravi!”».

Gli aneddoti sono molti, ma il racconto non è riduttivamente aneddottico. Bonolis e Cappellini cavano da Vlad lo stesso talento di quegli artisti figurativi capaci di tracciare con due linee un profilo incisivo. Un esempio: «Conobbi Boulez nel 1947, quando non era il compositore affermato: aveva una bicicletta e abitava in una torre». Visti da questa prospettiva, i mostri sacri della musica, contemporanea o meno, sono tratteggiati nell’essere uomini, senza nulla togliere alla loro statura artistica. Queste memorie sono anche, naturalmente, la storia dei tanti, eterogenei incarichi che l’autore ha ricoperto, in un mondo musicale e culturale che appare profondamente diverso da quello di oggi. Vlad è ben conscio di questa differenza (e non incomincerò qui il peana dei grandi direttori d’orchestra che un tempo si sentivano dovunque in Italia, e la litania delle orchestre “territoriali” scomparse nel corso degli anni, son cose che si sanno): tra le sue tante attività, si è anche occupato dei problemi connessi con la tutela del copyright, in veste di consulente dell’Ufficio tecnico del Tribunale di Roma per i processi di plagio.

Noto è il suo lavoro al Maggio Musicale Fiorentino, dove chiamò a lavorare il giovane Riccardo Muti, le sue trasmissioni radiofoniche all’avanguardia (su Anton Webern, per esempio) e televisive, come l’indimenticabile ciclo su Arturo Benedetti Michelangeli. Nella parte iniziale, all’autobiografia s’intrecciano le grandi vicende storiche dell’inizio del Novecento: Vlad è nato a Cernăuţi, una cittadina restituita alla Romania nel 1920, occupata prima dai sovietici, poi dai nazisti, oggi in Ucraina, zona di frontiera, crocevia di religioni, culture e lingue, un esempio di pacifica convivenza.

Finisco col primo indelebile flash colto sfogliando per la prima volta il libro. Siamo nel 1939. Busoni è morto da quindici anni, Berg da quattro, Stravinskij è nel pieno del suo periodo neoclassico, Schönberg è emigrato per scampare al nazismo.

Vlad prova l’ammissione all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.

«Apparve Casella, che ovviamente non mi conosceva. […] Mi chiese: “Che fai qui, cos’hai in mano? Ah! Busoni!”. “Sì”, risposi. “E lo sai suonare? E che altro hai?” Avevo la Sonata di Berg, la Sonata di Stravinskij e l’op. 19 di Schönberg. Casella, incredulo ma curiosissimo, mi chiese ancora: “Ma tu suoni queste cose? E da dove vieni?” […] “Sai, ˗ mi disse poi, ˗ qui, di solito, queste composizioni non si possono suonare”».


Scritto in origine per la pagina 24letture de Il Sole 24 Ore.com, 30 maggio 2012

Skrjabin renaissance in libreria: Roman Vlad e Luigi Verdi

Luigi Verdi, Aleksandr Nikolaevič SkrjabinL’Epos, Palermo 2010, pp. 481, euro 43,80

Roman Vlad, Skrjabin fra cielo e inferno; Pietro Scarpini interprete di Skrjabin, Passigli Editori, Bagno a Ripoli (Fi) 2010, pp. 289 + 101, 2 voll., euro 30

Da molti anni in Italia non appaiono ricerche corpose su Aleksandr Skrjabin (1871-1915), se si eccettua la traduzione tardiva della biografia di Faubion Bowers (ed. orig. ridotta 1973, trad. it. Gioiosa Editrice, San Nicandro Garganico 1990), alcuni testi di Alessio Di Benedetto e Giovanna Taglialatela, e la curatela di Maria Girardi (Appunti e riflessioni, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1992).

Anche se nel panorama editoriale tutto sembrava tacere, erano in realtà in gestazione – quasi allo stesso tempo – due opere importanti. Il primo dei due autori, Luigi Verdi, insegna composizione al Conservatorio di Milano e, tra altri molteplici interessi, si è occupato di Skrjabin fin dalla tesi di laurea, pubblicata poi da Passigli, grazie all’Associazione De Sono, nel 1991.

In seguito all’esemplare indagine dei rapporti tra Kandinskij e Skrjabin, e dopo averne affrontato singoli aspetti in una miriade di saggi, Verdi ha condensato finalmente le sue più che ventennali ricerche. Il libro dato alle stampe per L’Epos è una biografia sul modello “vita e opere”, ma è anche molto di più, quasi un Compendium; una parte saliente, dedicata al pensiero estetico e filosofico inscindibile dalla produzione musicale di Skrjabin, non tralascia i rapporti con altri intellettuali del tempo come il compagno di studi Rachmaninov, o Plechanov, il teorico del marxismo, il basilare ruolo nella sua formazione della teosofia e degli spunti derivanti dalla lettura di Goethe, Nietzsche, Feuerbach, Wundt, Paulsen, Kant e dalle teorie di Solov’ev che precorrono il simbolismo.

Degne di nota la bibliografia, indirizzata in special modo al lettore italiano (Verdi è anche autore di un’importante bibliografia perla Scriabin Society of America, aggiornata al 2004), il pregevole apparato dedicato alla tradizione esecutiva e alla discografia storica, la sintesi degli orientamenti della critica, la traduzione italiana dei testi poetici alla base delle opere skrjabiniane e un ricco apparato iconografico. La mole del testo è tale da non lasciare insondato nessun problema, seppur sia caratteristico della collana (Autori & Interpreti 1850/1950) evitare un eccessivo specialismo; non vi sono esempi musicali, ma l’analisi delle opere è di limpida chiarezza, coadiuvata da schemi, come quello che riguarda le ultime sei Sonate per pianoforte (p. 196) e i loro relativi profili tematici (p. 211). Così concepita la parte inerente le opere, con relative puntuali analisi, è uno strumento che torna sempre utile per consultazione.

L’eccentrica figura di questo compositore troppo poco conosciuto è emblematica di un’epoca storica che fu spazzata via con la Seconda Prima guerra mondiale – esattamente quando Skrjabin morì -, in cui si estrinseca tutta l’ansia di rinnovamento della cultura musicale europea alle soglie della Prima guerra. Storicamente la Skrjabin-Renaissance avviene negli anni ’70 del Novecento in concomitanza col centenario della nascita e, tuttavia, questo mutamento sul piano estetico non sembra una casualità se si pensa al fatto che una delle sue più famose composizioni, quel Prometeo per coro, grande orchestra e clavier à lumières che mirava a fondere musica e colori, così in anticipo sui tempi, soltanto negli anni ’60 potè essere portata in scena, grazie al progresso tecnologico, secondo il volere dell’autore (nelle prime esecuzioni, infatti, la parte luminosa non veniva realizzata). In Italia fu proprio grazie a Roman Vlad che si tenne, il 23 giugno 1964, la première italiana del Prometeo completo della parte Luce al Maggio Musicale Fiorentino, diretta da Pietro Bellugi e con al pianoforte Pietro Scarpini.

L’idea del libro su Skrjabin di Vlad, composto da due volumi l’uno dedicato al compositore e l’altro a Scarpini (1911-1997), sboccia dalla volontà di dare un ordine alle sue interpretazioni skrjabiniane che coprono buona parte dell’opera omnia del russo. I programmi da concerto di Scarpini, vero profeta del verbo skrjabiniano in Italia, andavano in controtendenza rispetto ai gusti del pubblico di quell’epoca e, secondo Vlad, egli è da considerarsi complementare all’altro sommo pianista dell’epoca, Arturo Benedetti Michelangeli. L’autore ne ripercorre dunque la biografia alla luce della carriera e del repertorio.

Il giovane Skrjabin, dapprima fortemente influenzato da Chopin e poi da Liszt, in breve tempo diventò un precursore delle idee musicali più innovative, nonostante la sua produzione non abbia avuto la stessa fortuna critica che seppero conquistarsi il neoclassicismo o la dodecafonia. Vlad delinea con precisione come le tarde opere di Skrjabin anticipassero il serialismo che Schönberg teorizzerà un decennio dopo la scomparsa del collega; sebbene all’interno dell’Unione Sovietica la musica di Skrjabin non fosse mai stata apertamente avversata, circostanze ostili (tra cui la morte prematura) ne impedirono l’affermazione e, anche se ebbe un’eco nei cosiddetti “skrjabinisti”, questi però si dispersero ben presto.

Il filo conduttore del discorso sono le innovazioni del linguaggio musicale skrjabiniano che Vlad mostra dettagliatamente partiture alla mano. La visione proposta è un viaggio in senso diacronico attraverso la musica di Skrjabin, che, pianistica e orchestrale, procede parallela, affrontata a partire da alcuni temi (si legga per esempio il capitolo V “Auree proporzioni”), anche e soprattutto alla luce della letteratura critica a Vlad precedente, per intraprendere il quale il lettore deve avere ben presenti le composizioni sia complessivamente sia nel dettaglio. Per converso, l’approccio cronologico e più didascalico di Verdi restituisce un altro tipo di lettura, più lineare. Con un occhio sempre fisso alla vicenda biografica, che però resta sullo sfondo, Vlad prende in esame tutta l’opera e gli interrogativi che essa pone (a partire dal suo più piccolo e famoso elemento costitutivo l’“accordo mistico” del Prometeo) fino all’incompiuto Misterium, che l’autore denomina “la meta irraggiungibile”.

Verdi e Vlad hanno portato avanti le loro opere in uno spirito di collaborazione reciproca, così oggi abbiamo la fortuna di avere due testi che si integrano a vicenda, di taglio più biografico il primo, più specialistico il secondo, egualmente importanti nel panorama della letteratura su questo musicista ed egualmente indispensabili al musicofilo italiano.

 L’Indice dei libri del mese, anno XVIII,  6, giugno 2011, p.  17