Quando cominciò la mia passione podistica iniziai a collaborare con gli amici di Runlovers scrivendo di musica in modo diverso dal solito e per un pubblico di curiosi. Ascoltando da sempre musica classica, amando scrivere e correre, è stato facile unire le tre passioni.
Beethoven, santo patrono dei runners
Iniziare a correre è stato un po’ come smettere di fumare: non sai mai qual è la volta buona.
Un giorno fatidico, uscita col fedele lettore mp3, con la musica del cuore, in tenuta da bici, mi sono fermata in un posto che amo e ho pensato:
“Oggi provo a correre”
Avevo bisogno del ritmo giusto. Da sempre sono di ferma fede beethoveniana.
Avete presente la Quinta Sinfonia? Ta-ta-ta-taaaa, Ta-ta-ta-taaa. Da un impulso ritmico Beethoven costruisce un mondo intero.
Una delle metafore con cui più spesso è stato descritto Beethoven è quella del Titano o Promèteo, anche per questo motivo.
Allegro molto
Non appena il quarto movimento, “Allegro molto”, del Quartetto op. 59 n. 3, è partito nelle mie orecchie, mi sono convinta. Beethoven sarebbe stato perfetto non solo nella mia vita quotidiana, ma sempre, anche mentre correvo.
Quando ho avuto un po’ più di fiato ho ascoltato il quartetto per intero. Per la prima volta, correndo. Il mio lettore mp3 mescolava i movimenti, un po’ a caso, così:
III. Menuetto. Grazioso – Trio
Oggi, anche se vado un po’ più lontano di quel primo fatidico giorno, questo quartetto conserva sempre un suo speciale equilibrio, una durata, un “tutto” perfetto. Anche per correre.
Questo è il primo movimento, i primi 11′ d’inebriante bellezza. Di distillata, purissima fatica prima di correre… via, sotto la doccia.
I. Introduzione. Andante con moto – Allegro vivace
Il tema intonato dal primo violino (1’33”) funziona come un mantra. Mi concentro su quella frase. La osservo modificarsi come un fiore che cresce ripreso all’acceleratore.
Il Tokio è tra i miei quartetti preferiti. Amo l’Alban Berg che vedete nei video sopra e, tra gli italiani, tenete sempre d’occhio il Quartetto diCremona.
c.v.d.
In Colorado esiste una gara intitolata “Beat Beethoven“: si corre sulle note della Quinta Sinfonia e l’obiettivo è arrivare prima che la sinfonia finisca…
È un’icona. Può essere tutto, e il contrario di tutto. Ha finito per dar suono e forma all’anelito alla felicità. Interrompe una manifestazione della AfD (Alternative für Deutschland, il partito di ultra-destra tedesco) il 25 novembre 2017.
È il re indiscusso dei flash-mob. È la colonna sonora delle rivolte di massa. Naturalmente, si oppone ai regimi
(protesta di piazza Tienanmen, 1989). Se li avesse, sarebbe la felicità dei suoi eredi, poiché farebbe più soldi di Beyoncé.
Beethoven, tre sillabe che designano molto più che un oggetto di studio storico o musicologico. In esse si sono cristallizzate suggestioni e proiezioni: una musica eroica per eccellenza, una vita tragica, una sordità affascinante, un volto che non si scorda facilmente…
Il compositore, più di ogni altro, da più di due secoli stimola un immaginario letterario, visivo e musicale di prodigiosa ricchezza. Da Gustav Klimt a Joseph Beuys, da Romain Rolland a Milan Kundera, da Franz Liszt a Pierre Henry, da Jean-Michel Basquiat fino a Stanley Kubrick, l’aura beethoveniana ossessiona gli artisti di latitudini, lingue e culture diverse.
Una grande mostra alla Philharmonie de Paris, curata da Colin Lemoine e Marie-Pauline Martin, indagherà la dimensione mitica di Beethoven e la costruzione del genio.
Il 18 dicembre 2015, il giorno dopo il battesimo di Beethoven!, a Galmsbüll vicino a Flensburg, ci ha lasciati uno dei più grandi studiosi beethoveniani dei nostri tempi: Sieghard Brandenburg.
Tra i suoi contributi più notevoli la nuova edizione (dopo quella di Emily Anderson, I.L.T.E. Torino 1968) dell’epistolario beethoveniano, G. Henle Verlag, una pietra miliare della ricerca, tradotta in italiano da Luigi Della Croce e pubblicata da Skira – Accademia di Santa Cecilia. obituary
Sieghard Brandenburg è stato direttore del Beethoven-Haus dal 1984 al 2003. Ha curato la nuova edizione completa delle opere di Beethoven. Senza le sue ricerche, non sarebbero potuti esistere moltissimi libri oggi in circolazione su Beethoven.
Avevo avuto modo di conoscerlo personalmente, grazie a Barry Cooper, alla prima conferenza internazionale beethoveniana che si tenne a Manchester, nel 2012.
Non dimenticherò mai la gentilezza e la profonda umiltà di quel grande studioso.
È una grossa perdita per tutta la comunità scientifica e per gli studiosi beethoveniani in particolare.
A sinistra Sieghard Brandenburg, a destra Barry Cooper. Manchester 2012
Dell’International Beethoven Project, il cui primo festival si è tenuto a Chicago dal 14 al 18 settembre 2011, sorprende il desiderio senza confini di far convergere in un’unica sede più forme d’arte che ruotino attorno al compositore di Bonn.
Soddisfatto è il musicofilo esigente che ascolta: il Quartetto con pianoforte WoO 36 n. 3, la Sonata “Kreutzer” eseguita prima nella versione tradizionale, poi nella trascrizione per quintetto d’archi, i rarissimi Preludi per pianoforte in tutte le tonalità, la Grande Fuga nella versione per per pianoforte a quattro mani.
L’appassionato è incuriosito dall’Eroica e dalla Pastorale arrangiate per rock band (Reed Mathis of Tea Leaf Green & his Band).
Oltre a una masterclass, due focus: Beethoven Today, mette in luce l’influsso e l’eredità beethoveniana nella musica contemporanea; il Bagatelle Project, un ciclo di venti nuove bagatelle composte sull’Inno alla gioia, interpretate da tre pianisti. Non solo uno spaccato dell’opera di Beethoven, ma anche il suo rapporto con altri compositori, e approfondimenti su tanti diversi generi.
Oltre alla musica, c’è di più: da un lato la commissione a dodici artisti contemporanei di nuove interpretazioni figurative dell’immagine di Beethoven – esposte nell’affascinante Chicago Urban Art Society, uno spazio post-industriale con una buona acustica, sede temporanea del festival per quest’anno -, dall’altro una tavola rotonda sull’iconografia del compositore, declinata nelle sue più diverse sfaccettature (James Green), dall’art nouveau (Alessandra Comini) all’interazione tra i ritratti tradizionali di Beethoven e quelli realizzati per il festival (Benedetta Saglietti –> piccolo momento pubblicità).
Ma, soprattutto, l’atmosfera rilassata di chi fa musica tra amici.
Ecco cosa mi ha raccontato il direttore artistico franco-americano, nonché pianista, George Lepauw.
Com’è cominciato tutto?
Da sempre amo profondamente e ammiro Beethoven e la sua musica. Recentemente la fortuna mi ha messo in contatto con James Green [curatore del nuovo catalogo Hess, tradotto in Italia da Zecchini], attraverso il comune amico Dominique Prévot, presidente dell’Association Beethoven France, che ha portato nel 2008 alla costituzione dell’International Beethoven Project (IBP). Il Beethoven Project Trio (con Sang Mee Lee al violino e Wendy Warner al violoncello) ha organizzato una serie di concerti culminati nell’esecuzione dei Trii Hess 47, Anhang 3 e op. 63 all’Alice Tully Hall del Lincoln Center di NY, incisi per Cedille Records. Lo scopo del progetto era raggiunto, ora bisognava portarlo nel futuro. L’attenzione ottenuta da parte del pubblico e da parte della stampa mi ha indotto a ideare un festival che rispecchiasse la mia visione delle arti nel ventunesimo secolo: l’IBP è stato il veicolo per crearlo, Beethoven l’ispirazione.
Come ti è venuta la pazza idea di mettere insieme musica, arte figurativa, danza, un reading, una tavola rotonda, una grande accademia e un concerto rock, in cinque giorni?
La pazza idea è nata perché volevo creare un tipo di esperienza per il pubblico che io stesso desideravo: un’atmosfera in cui si ascolta e si fa musica, circondati da una meravigliosa creatività e da persone di talento. Volevo una versione contemporanea del salon privato del diciottesimo e diciannovesimo secolo. Bisognava immaginare un modo per trasformare l’idea in grande adattandola a un festival pubblico.
Il più grande successo è stato trasformare il sogno in realtà: tante persone entusiaste si sono sentite ispirate dalla musica e dal luogo. Vorrei continuare a tenere strettamente saldata l’esperienza umana alla musica e all’arte, perché tutti siano consapevoli del processo creativo. La sfida per il futuro è tenere in equilibrio il successo e la necessità di avere spazi più ampi, restando sempre fedeli al nostro spirito e al bisogno vitale di avere un contatto diretto con chi ci sta di fronte.
Una curiosità: come sei riuscito a mettere insieme tante persone per lavorare all’idea?
Conosco la maggior parte di loro da qualche mese: abbiamo scoperto di condividere una certa visione dell’arte e ci siamo dedicati anima e corpo. Ho incontrato Catinca Tabacaru, responsabile della sezione arte e film, attraverso i comuni amici Mike Cahill (film maker) e Rachel Monosov (l’artista talentuosa che ha presentato la sua Amata immortale, nella foto sopra): quando ho capito che l’arte visiva sarebbe stata una parte importante del festival e lei ha accettato sapevo che il suo lavoro sarebbe stato un valore aggiunto al progetto. Molly Feingold, Director of Production, l’ho incontrata a giugno a un evento sponsorizzato dagli High Concept Laboratories, partner anche del festival. Aurélien Pederzoli, uno dei nostri violinisti più dotati, e David Moss, la nostra viola di punta, mi hanno aiutato nella programmazione e nel selezionare i musicisti. Sono amico da un paio d’anni di Robert McConnell, direttore musicale, Mischa Zupko, responsabile di Beethoven Today e Katherine Lee, cui fa capo la sezione educativa.
In Italia c’è preoccupazione riguardo agli sponsor, difficili da trovare. Com’è possibile organizzare un festival basandosi solo su quelli privati?
Trovare sponsor è una delle maggiori difficoltà di qualsiasi progetto creativo. Abbiamo fatto affidamento su donatori privati e sulla vendita di biglietti. La nostra squadra di supporters è cresciuta in questi quattro anni: hanno valutato il lavoro fatto e deciso di credere in noi. Tuttavia, la prima edizione è stata fatta con piccole cifre.
Cosa ci puoi dire dell’edizione 2012?
La scorsa edizione è stata incentrata sul tema Beethoven come uomo e come Musa; del prossimo tema verrà dato l’annuncio sul sito il 16 dicembre, giorno del compleanno di Beethoven. La rassegna avrà luogo in uno spazio più grande, più centrale, a Chicago. Ci piacerebbe molto portare questo festival in giro per il mondo, ma lo potremmo fare soltanto cercando un partner locale o appoggiandoci a un festival già esistente che voglia collaborare con noi. Se un’opportunità di collaborazione artistica verrà fuori, salteremo su quel treno!