L’Opernphantasie “Dionysus” di Wolfgang Rihm in prima mondiale al Festival di Salisburgo

Il mondo onirico di Nietzsche

© Ruth Walz

Dopo 14 anni di gestazione ecco la stupefacente Opernphantasie di Rihm.

Su un lago, in barca, N. subisce l’assalto erotico di Arianna (traslato di Cosima Wagner): è la bravissima Mojca Erdmann, voce duttile e cristallina nella tessitura acuta. N. esce dal mutismo con: “Io sono il labirinto”, ma sarà l’Ospite biancovestito a incantare Arianna.

La scenografia è dominata dallo sguardo stilizzato di un essere multiforme, nocciolo della concezione di Meese: è Dio, Nietzsche stesso o un alieno? Poi N. e l’ospite scalano una montagna: più si allontanano da terra, più i loro dialoghi divengono criptici, e Rihm abilmente fa rimpiattino tra i giochi di parole e il loro corrispettivo musicale (ad es. “Nur Narr”, nella terza scena).

In una sorta di metafora interiore, N. parla con l’Ospite come a un alter ego (“Nicht mehr zurück?”), e anche quando il coro irrompe espressionisticamente sembra dar voce al suo delirio paranoico.

La terza scena è bipartita: nel colorato bordello pop N. rifiuta le avances delle 4 prostitute (fantasia erotica opposta rispetto ad Arianna), e intona “Der Wanderer” mentre l’Ospite è al pianoforte: di lì a poco questo verrà fatto a pezzi. Nello scenario onirico c’è circolarità: le stesse parole (“Mich willst du? Ganz?”) pronunciate dalle ninfe, dalle prostitute e poi dall’Ospite, mutano di senso. Attorniato dalle menadi e da tre nutrici, simili a Veneri di Willendorf, N. è scorticato da Apollo, la sua pelle assume una forma autonoma e tutti si ritraggono inorriditi da lui.

L’ultima scena è quella del celebre episodio, ma qui è la pelle, in una piazza, ad abbracciare il cavallo, frustato da una figura senza volto. Composta magistralmente, visionaria, questa è l’opera che vorremmo (ri)vedere nei teatri di tutta Europa.

Accoglienza del pubblico calorosissima.

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