Leggere, ci stanno dicendo da anni, consoni senza farlo parere, è un’esperienza, è stare insieme, è condividere, è la felicità.
Non è capire, non è essere interrogati da un testo, non è vivere nel dubbio e non è imparare a leggere il mondo –come tanti anni fa diceva Blumenberg,
Leggere è ora un’incantata felicità, è un moto dell’animo, è un salto del respiro, è stare insieme agli amici ad occhi sognanti.
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Quando leggo mi chiudo in camera e taccio e voglio silenzio e non voglio essere intrattenuto, non voglio che quel libro mi conforti o mi aiuti a superare il tedio dei miei giorni; per me la lettura –e la scrittura– sono un esercizio critico, sono il luogo dove si tenta di decifrare il mondo, sono il luogo dove faticosamente si tenta di rendere afferrabile ciò che non lo è, consci dell’illusione che il tentativo rappresenta.
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Ci sono mutamenti irreversibili. La solitudine, l’autonomia, lo studio silenzioso, sono anch’essi residui di un’epoca che va finendo. Come tutti quelli che vanno lasciandosi alle spalle – da mo’ – la giovinezza, anche io non so – non voglio – adeguarmi al nuovo.
«Gli scrittori prosperano nella privacy, non su Twitter, e lo stesso vale per i lettori. Dare via le proprie frasi senza pensarci, e per giunta gratis, danneggia la scrittura come professione, l’idea di pagare qualcuno perché è bravo a scrivere, e uccide la concentrazione».
Andrew O’Hagan citato da Anna Momigliano
Sulla lettura avevo già raccolto qualche riflessione su: