“Verdi, narrar cantando”: Paolini & Brunello

© Giulio Favotto Otium
© Giulio Favotto Otium

Debutta al Teatro Regio di Torino lo spettacolo di Marco Paolini e Mario Brunello che fa cantare il pubblico.

Far cantare il pubblico è un’idea che nella sua semplicità fa presa. Si cementa “qualcosa”, attraverso il canto collettivo, qualcosa che forse questo Paese sta dimenticando.

E soprattutto: quando ci ricapiterà di cantare in un teatro gremito fino all’ultima poltrona?

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Le lettere di Verdi, l’uomo che parlava senza giri di parole

Giuseppe Verdi, Lettere.

A cura di Eduardo Rescigno, illustrazioni di Giuliano Della Casa.

Torino, Einaudi (I Millenni) 2012, pp. XXXVIII – 1170, € 90.

Nel 1978 l’Istituto Nazionale di Studi Verdiani diede avvio all’edizione critica dell’epistolario del compositore, tuttora in corso d’opera, ordinato per destinatari e rivolta agli specialisti. Il pregevole volume edito da Einaudi a cura di Eduardo Rescigno è invece una raccolta di settecento lettere, un’antologia che mette in luce le comunicazioni destinate ad amici e amiche, che affrontano temi personali o menzionano fatti salienti contemporanei. Abbiamo intervistato il curatore.

A chi è indirizzato questo lavoro?

Il libro è per chiunque sia interessato a Verdi a 360°: non solo come compositore, ma anche per esempio quale imprenditore, “benefattore”, un uomo comunque molto attento alla realtà sua contemporanea. Chiunque abbia interesse per la vita ottocentesca in Italia dovrebbe leggerlo! Certo vi compaiono gli scambi con i librettisti, ma non è dato grande spazio alla corrispondenza professionale, anche perché Verdi non è molto propenso a parlare di tali faccende via lettera.

Tra le migliaia di lettere del compositore come ha scelto quelle da pubblicare?

Conosco tutte le lettere di Verdi perché è da una vita che lavoro su di lui. Via via che le leggevo mentalmente le selezionavo. Per questa pubblicazione sono partito da circa 2100 lettere su cui è avvenuta la scelta. Il fine è dare un’immagine il più possibile articolata, per far conoscere Verdi in tutte le sue sfaccettature.

Caratteristiche salienti dell’epistolario?

Le lettere sono intere! Non si possono tagliuzzare, se no se ne perde la fisionomia originaria. Quando esistono (nella maggioranza dei casi), esse sono state controllate sugli autografi, insieme all’indispensabile contributo nella trascrizione di Marisa Di Gregorio Casati dell’Istituto Verdiano. Sono disposte in ordine cronologico. Le altre edizioni o si limitano al destinatario (I copialettere di Giuseppe Verdi, di Cesari-Luzio, Forni) o sono divise per argomento (Autobiografia dalle lettere, Aldo Oberdorfer, BUR), qui l’unico filo è la successione temporale.

Che profilo emerge di Verdi dalle lettere?

Innanzitutto l’italiano del compositore: non è perfetto, ma non conta, perché ciò che vuol dire lo dice benissimo, con una scrittura essenziale. È una capacità di sintesi, il “venire al nocciolo”, che riscontriamo anche nelle opere musicali, pressapoco fino all’Aida. Verdi arriva al punto sempre direttamente, senza giri di parole, perciò è, come si diceva a scuola, un buon “libro di lettura”. Rispetto a Donizetti o Bellini, Verdi è un epistolografo dei più leggibili.

C’è una discrepanza fra il Verdi privato (l’uomo) e quello pubblico (il compositore)?

Sì, c’è! Sulle prime le lettere sono un po’ impacciate, Verdi è ancora giovane, ma, leggendo l’epistolario, si capisce che coi primi successi, al tempo del Nabucco, egli si rivela un uomo brillante. Per esempio con Emilia Morosini fa l’uomo di spirito, perché vuole introdursi presso circoli di quasi nobili, di alto livello. Secondo me Verdi fece una proposta matrimoniale alla Morosini e fu respinto. L’esclusione da questi circoli generò in lui un atteggiamento di difesa, “da orso”. Verdi è uno degli uomini più sinceri di questo mondo, ma a un certo punto vuole che non si entri più nel suo mondo e quindi pone degli ostacoli. È un modo per tirarsi fuori dall’agone, denigrando la sua biblioteca musicale, che invece era piuttosto nutrita, o definendosi un autodidatta (stereotipo duro a morire).

Verdi tenne davvero le distanze dalla musica tedesca?

Verdi sembra che dica: lasciamo il sinfonismo ai tedeschi e teniamoci l’opera. In realtà, come noto, la sua biblioteca era piena di musica tedesca, operistica e strumentale, che conosceva a fondo, cosa ben evidente anche solo ascoltando il suo Quartetto per archi.

Il Giornale della Musica, 301, marzo 2013, p. 20.

Tutte le opere di Verdi raccontate da Guido Paduano

verdi paduano edt

Guido Paduano, TuttoVerdi. Programma di sala.

Torino, EDT 2013, pp. 192, € 12,50.

Per ricordare il centenario della nascita EDT manda in stampa TuttoVerdi, Programma di sala di Guido Paduano. Il soggetto è il “macrotesto” di ogni singola opera verdiana, vale a dire le connessioni intertestuali tra musica e libretto.

Nel prendere in esame le opere di Verdi, ognuna nella propria autonomia, Paduano chiarisce in modo mirabile il sistema di rispondenze reciproche. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Risulterebbe impropria, o quantomeno manchevole, una valutazione dei soli libretti così come un’analisi musicale monca della sua controparte testuale.

Il rapporto con le fonti è centrale. È importante la rivalutazione della dignità del libretto, cominciata da qualche tempo con Luigi Baldacci e Mario Lavagetto, ma è da tener a mente che è sempre il discorso musicale ad assumersene la responsabilità espressiva, a imprimere una direzione. La musica operistica è quella che, nelle parole di Verdi: «scolpisce e rende netta ed evidente la situazione». L’anima del mio lavoro è questa “situazione”, non solo la musica né soltanto le parole, ma il teatro.

Come inquadrare il melodramma verdiano?

Il melodramma va considerato nel contesto della storia della cultura europea. È importante la relazione con i suoi assi portanti: un esempio è la lettura che Verdi fa di Shakespeare. Dall’altro lato le “situazioni”, cui accennavo prima, rispecchiano momenti fondamentali sia della vita dei singoli sia della vita associata, o talvolta il contrasto fra le due, come nel caso esemplare de I Vespri siciliani.

Perché un sottotitolo al singolare?

Programma di sala indica l’organicità dell’opera di Verdi, concepita come un unico grande discorso.

Che tipo di lettura suggerisce?

Mi auguro che TuttoVerdi possa essere per il lettore un vademecum da portar con sé a teatro.

Il Giornale della Musica, 301, marzo 2013, p. 21.

Verdi nella terra di Shakespeare (Falstaff at the ROH)

Gatti e Carsen insieme per un nuovo “Falstaff” al Covent Garden

Carlo Bosi as Dr Caius, Lukas Jakobski as Pistol and Ambrogio Maestri as Falstaff
© Photo by Catherine Ashmore

In questo nuovo Falstaff coprodotto dalla Royal Opera House, the Canadian Opera Company e la Scala (dove sarà diretto nel 2013 da Harding, con cast in gran parte diverso) Daniele Gatti si conferma un direttore verdiano di grande interesse.

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