Citofonare Beethoven al Piccolo Regio di Torino

L’idea di Susanna Franchi alla base di “Citofonare Beethoven” è nata alla Pasqualati-Haus, una delle tante case del compositore, sulla Moelker Bastei 8 a Vienna. Il testo di Alessandra Premoli fa narrare la vita di Beethoven al burbero, ma scaltro custode del museo (Bob Marchese) che interpella direttamente dal palcoscenico la folla di bambini assiepata in sala. “Cosa ci fate qui? – invita ad andarcene – Devo chiudere!”. E’ lo spirito di Beethoven, che si materializza in una penna d’oca scrivente e in altri oggetti animati, a intimare al custode di farci rimanere e a indurlo a raccontare. Oltre allo spirito di Ludwig, che più o meno come in vita ne fa di tutti i colori, il narratore è affiancato da un aiutante-accordatore, oltre che valido pianista (Federico Tibone).

La via scelta è facile, diretta: alla biografia sono accostate le composizioni più famose, ascoltate brevemente: sonate per pianoforte (dal vivo), sinfonie, Fidelio. La lettura della biografia snocciola fatti essenziali e dettagli importanti, in poco più di un’ora, senza pedanteria. “Siete immersi nella musica di Beethoven e neanche lo sapete!”, giura il custode. Da un lato lo spettacolo fa leva sulle esperienze del pubblico (il “Chiaro di luna” è anche la colonna sonora del videogioco “Resident Evil”, mentre l’aiutante si lancia in un’esilarante esibizione sulle note della Quinta Sinfonia in versione pop, rock, country, classica), dall’altro riesce a spiegare, ad esempio, la differenza fra Hammerklavier e clavicembalo.

L’impressione è che il custode conosca Beethoven come le sue tasche, e persino i suoi vizi a menadito: mangia per due, ama il vino rosso, disdegna la birra. E’ scontroso, ma anche lieve, il compositore dalla pessima calligrafia: mette in calce alle sue lettere dei canoni epistolari, che il pianista accenna allo strumento, dei giochi di parole e musicali, degli sfottò agli amici: “Schuppanzigh ist ein Lump” (“Schuppanzigh è un mascalzone”). I rapporti con le donne, con il nipote, con la nobiltà: niente è lasciato al caso o banalizzato. Sensibile e azzeccata l’idea di rendere acusticamente la sordità col suono degli acufeni, che tormentarono Beethoven tutta la vita, dal quale sboccia nello spettacolo l’“Inno alla gioia”. In rappresentazioni destinate a scuole e alle famiglie, il pubblico di qualsiasi età è sempre entusiasta quando gli si presenta uno spettacolo intelligente. Un solo rammarico: che il protagonista non sia riuscito a ottenere dallo spirito di Beethoven il nome dell’“amata immortale”.

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International Beethoven Festival a Chicago: un Beethoven multiplo

È completamente diverso da qualsiasi altro, questo primo Beethoven Festival (14/18 settembre 2011), nato da una costola dell’International Beethoven Project. Innanzitutto, la pazza idea: mettere insieme la musica, l’arte figurativa, il video, una masterclass, una tavola rotonda sull’iconografia e pure un assaggio di balletto dedicando 5 giorni e 5 notti non-stop a Beethoven. Come? Commissionando un ritratto beethoveniano (foto, olii su tela, disegni, etc) e dei brevi film ad artisti contemporanei e lasciandoli semplicemente sbizzarrire.

Il versante musicale è, se possibile, ancora meglio: focus su generi specifici (la sonata per pianoforte, la trascrizione, la musica orchestrale) e ogni sorta d’inimmaginabile primizia. Qualche esempio: il Quartetto con pianoforte WoO 36 n. 3, la “Kreutzer” prima nella versione classica, poi trascritta per Quintetto d’archi, i Preludi per pianoforte in tutte le tonalità, la Grande Fuga per pianoforte a quattro mani. Dove altro mai, se non a Chicago, si può avere l’occasione di sentire una dopo l’altra tutte queste rarità?

Ma, come se non bastasse, oltre a Beethoven, una notte è stata dedicata a 13 nuovi modi di guardare alle Variazioni Goldberg, una giornata al “Beethoven Today” (musica contemporanea) e ha infine chiuso il festival il geniale progetto di Mischa Zupko che ha commissionato a 20 musicisti americani emergenti dei brani pianistici ispirati dall’Inno alla gioia. In mezzo a tutto ciò, anche una Grande Accademia alla maniera ottocentesca. E, giusto per non farsi mancare niente è arrivato pure l’erede del Principe Galitzine (sì, quello dei Quartetti).

Il festival ha avuto luogo in una location assolutamente cool, alla periferia della città in un edificio ex industriale, oggi Chicago Urban Art Society. Senza dress code, e senza le sciocchezze dell’antiquato rito della sala da concerto, stappata la tua birra ti potevi sedere su una comoda poltrona o su un cuscino e… enjoy! Sponsor privati e generosi donors, hanno reso possibile il sogno di George Lepauw, che non solo è un dotatissimo pianista che ha suonato tutti i giorni con incredibile entusiasmo, ma anche un valido organizzatore, aiutato da un formidabile staff: Molly Feingold, Catinca Tabacaru per l’arte, Krista Johnson e il direttore musicale Robert McConnell. C’è da sperare che un festival così innovativo possa sbarcare in Europa.

Il Giornale della Musica, blog

Leggere le Diabelli dal manoscritto

Nel 2009 il Beethoven-Haus, grazie al supporto di 3000 donatori e di vari sponsor, è riuscito ad acquistare la copia manoscritta delle 33 Variazioni su un valzer di Diabelli op. 120 di Beethoven.
 
Il manoscritto consta di 42 fogli ovvero 81 pagine che mostrano alcuni ripensamenti. 
Sul sito autografi, schizzi e prime edizioni: 
 
© immagine Beethoven-Haus, Bonn
 
 
 

“Su Beethoven. Musica, pensiero e immaginazione” di Maynard Solomon

solomonMaynard Solomon, Su Beethoven. Musica, pensiero, immaginazione.

Trad. di Nicola Bizzaro,

Roma, Carocci 2010, pp. 365, € 29,80

A 12 anni dalla prima raccolta di scritti Su Beethoven (Einaudi) eccone un’altra dello stesso autore dedicata al terzo periodo.

Solomon da un lato affronta alcune composizioni capitali come le Variazioni Diabelli (cui dedica due saggi), la Settima e la Nona Sinfonia, la Sonata per violino e pianoforte op. 96, e dall’altro discute di altri argomenti noti della ricerca beethoveniana come il rapporto con la massoneria; indaga in senso storico come, quando e da chi Beethoven sia stato associato al romanticismo; esamina gli indizi della sacralità a partire dalla Missa solemnis (e qui è interessante vedere la lettura che l’autore fa degli studi sullo stesso argomento che lo precedono).

In particolare, Solomon dà il meglio di sé puntualizzando alcune immagini romantiche (gli alberi parlanti, la brezza metaforica, il velo di Iside etc…) e nell’originale saggio dedicato al potere curativo della musica. Tuttavia sovente l’interpretazione sembra eccessivamente influenzata dalla sua formazione psicoanalitica. Note a fondo pagina (e non a fine libro) e una bibliografia dei testi citati avrebbero reso più agevole lo studio di questo lavoro. Buona la traduzione.

Il Giornale della musica, 277, gennaio 2011, p. 25