Ludwig van Beethoven, la musica pianistica e da camera

Lamoroso08-ALuigi Della Croce.

Ludwig van Beethoven. La musica pianistica e da camera.

L’epos editore, Palermo.

XVI-480 p., ill.

Fino a ieri non esisteva una guida all’ascolto altrettanto completa: oggi finalmente c’è. È infatti uscito per l’Epos il volume di Luigi Della Croce sulla musica pianistica e da camera beethoveniana, compendio al primo tomo del 2005 dedicato alla musica sinfonica e teatrale.

Un’essenziale prima parte introduce ai generi trattati, la seconda affronta le composizioni una per una in ordine cronologico. Il pregio maggiore del testo è di condensare i caratteri essenziali delle opere in poche righe con riflessioni acute e puntuali rimandi alle interpretazioni tradizionali (per es. Cortot circa l’op. 78 o Schumann sul Rondò “per il soldo perduto”), con un occhio sempre attento alla letteratura scientifica internazionale (vedi la datazione del Preludio WoO 55 o dei piccoli pezzi per pianoforte “Lustig – traurig”).

Nella prefazione l’Autore spiega cosa manca e perché: le composizioni abbozzate, quelle nel catalogo Hess, le trascrizioni, i canti popolari armonizzati da Beethoven. Per il resto c’è proprio tutto: anche i testi con traduzione a fronte dei Lieder al completo. Non sono presenti esempi musicali perché la guida è destinata a un pubblico di appassionati, ma non necessariamente di specialisti. Cura editoriale impeccabile.

Giornale della Musica, giugno 2009, p. 20

Il work in progress su Beethoven di Klaus Kropfinger

kropfingerKlaus Kropfinger,

Beethoven,

pp. 422, € 25

Milano-Lucca, Ricordi-LIM

collana “Le Sfere” 2006 (ed. orig. 2001)

Consultando gli spogli delle maggiori riviste italiane emerge la varietà degli interessi di Klaus Kropfinger: da Dante e l’arte dei trovatori a Vivaldi e Händel, dalla Krolloper all’utopia musicale di Busoni (saggio disponibile anche online), al rapporto tra Schönberg e Nono. Una parte della sua riflessione si è incentrata sui problemi metodologici della storia della ricezione: tappa intermedia è stato Wagner und Beethoven (Bosse 1975, trad. ingl. Cambridge University Press 1991), e l’approdo l’edizione commentata di Oper und Drama (P. Reclam jr. 1984).

In Italia i contributi di Kropfinger risultano reperibili su riviste (in particolare su «Musica/Realtà») o dispersi in altre opere (ad esempio in L’esperienza musicale: teoria e storia della ricezione, a c. di G. Borio e M. Garda, EDT 1989, e in Schönberg, a c. di G. Borio, il Mulino 1999); è pertanto di grande importanza la disponibilità per il lettore italiano del suo ultimo lavoro, dedicato a Beethoven, offerto dalla casa editrice Ricordi-Lim, con il contributo del Goethe-Institut, nella pregevole traduzione di Gabrio Taglietti.

La monografia − anche se definita dall’autore «saggio sinottico» − nasce come ampliamento della voce omonima stesa per la nuova edizione dell’enciclopedia MGG (Musik in Geschichte und Gegenwart, Bärenreiter-Metzler 1994-2007, suppl. 2008) e mira a presentare una sintesi dei risultati della più recente letteratura scientifica sull’argomento, discussi criticamente. Chiunque abbia avuto a che fare con la sterminata bibliografia beethoveniana è consapevole che offrire un quadro d’insieme sulla vita e sull’opera di Beethoven può rivelarsi un’autentica fatica di Sisifo.

Estratto da «Studi Filosofici», Bibliopolis, Napoli, XXXI, 2008-2009, pp. 327-30, acquista l’articolo completo

Le ultime lettere di Ludwig van Beethoven

epistolarioLudwig van Beethoven, Epistolario, vol. VI (1825-1827)

Milano, Skira – Accademia Nazionale di Santa Cecilia (coll. L’Arte armonica, Serie III, “Studi e Testi”) 2007, pp. 464, € 49,00

Volge al termine l’edizione italiana dell’epistolario beethoveniano tradotto da Luigi Della Croce, a cura di Sieghard Brandenburg, cominciata nel 1999 sotto gli auspici del Beethoven-Haus di Bonn. Il settimo volume, contenente gli indici, sarà disponibile in Italia all’inizio del prossimo anno; parallelamente l’edizione tedesca verrà completata da un ottavo tomo di cui si prevede l’uscita a breve. L’opera comprende le lettere scritte dal compositore e quelle a lui indirizzate, trascritte in un’accurata edizione diplomatica.

Le lettere di Beethoven sono una sorta di oscillografo che registra l’altalena fra il debordare di energia espressiva (che a volte ci restituisce un uomo capace di gesti di rara gentilezza) e, specie negli ultimi anni, il ritirarsi a tratti di essa. L’apparato di note, più corpose che nella storica edizione di Emily Anderson, facilita enormemente lo studio di una scrittura un po’ caotica, ma senza censure e pulsante di vita vera. È difficile avere a che fare con il compositore dopo il 1825, ed è una sorpresa non sempre piacevole scoprire il suo lato umano a volte ruvido. Reduce dall’insuccesso economico e dalle liti che seguirono le due grandi accademie del 1824 (prime esecuzioni della Nona Sinfonia), che furono causa della momentanea uscita di scena di Schindler, Beethoven è intento a organizzare nuovi concerti. È Karl Holz, primo violino del quartetto Schuppanzigh, a sostituire il factotum, quanto a numero di missive ricevute secondo soltanto al nipote Karl, vero protagonista del sesto tomo dell’epistolario, in cui fanno capolino anche alcuni amici di giovinezza: Ferdinand Ries, Franz Wegeler, Stephan von Breuning, l’arciduca Rodolfo.

La corrispondenza di poco meno di tre anni (372 lettere tra il 1825-27) è anche il registro di rapporti economici: offerte di dediche e trattative per la cessione dei diritti di pubblicazione delle opere condotte su uno scacchiere internazionale. C’è, ovviamente, molto di più.

Da un lato l’artista, non così felice della sua condizione freelance, o piuttosto di “precario”, come sembra suggerire il 1° gennaio 1825: «Lei sa che io sono costretto a vivere solo dei prodotti del mio spirito»; quello che sta scrivendo gli ultimi Quartetti per il principe Galitzin, il cui progresso nella composizione si può seguire passo passo; o, ancora, colui che cerca di far apparire (un po’ maldestramente) sulla miglior piazza possibile la sua Missa Solemnis. I giudizi degli amici sono benevoli: «le ultime [opere] − scrive Streicher − superano tutte quelle che ha scritto in precedenza»; Galitzin lo supplica: «non tardi, La prego, a farlo stampare, un capolavoro simile [il Quartetto op. 127] non deve restare neanche un solo istante nascosto», mentre Ries giura che la Nona Sinfonia: «è un’opera con la quale niente può reggere il confronto e se Lei non avesse scritto niente altro che questo, sarebbe già divenuto immortale».

Dall’altro lato l’uomo, il “padre adottivo” che esercita una crescente pressione sul nipote, con un misto di eccesso di amore e ricatti affettivi. Delle reazioni scomposte nei confronti di Karl, forse causate dai malanni che più volte in questi anni costringono Beethoven a letto, colpisce sia il loro materializzarsi in un profluvio di lettere, sia l’esiguità delle risposte: un climax che conduce al tentativo di suicidio; anche se, passata la tempesta, gli ultimi scambi fra i due contengono espressioni affettuose. Sono queste “montagne russe emotive” che non finiscono mai di stupire il lettore. Del resto Beethoven non fa nulla per nascondere la sua difficoltà con la comunicazione scritta, cui, non a caso, qui come nei precedenti volumi, fa da contrappunto un diffuso ricorso alla musica: così, ad esempio, la chiusura della lettera al dottor Braunhofer è l’occasione il 13 maggio 1825 per il canone «Doktor sperrt das Tor dem Tod, Note hilft auch aus der Noth» [il dottore sbarra la porta alla morte, la musica aiuta anche nel momento del bisogno]. Il primo presagio della fine risale però a qualche mese più tardi, «la falciatrice − scrive − non mi concederà in ogni caso molto più tempo», e diventa certezza in una commovente missiva rivolta a Wegeler (che non incontrava da 34 anni) il 17 febbraio 1827: «Il mio motto continua a essere: Nulla dies sine linea e, se ogni tanto lascio dormire la musa, è solo perché sia più vigorosa quando si risveglia. Spero di dare ancora al mondo qualche grande opera e poi di concludere il mio corso terreno da qualche parte, come un vecchio bambino […]».

Il Giornale della Musica, n. 254, dicembre 2008, p. 35

I segreti di Charles Rosen

Escono due libri che raccolgono lezioni e conferenze del musicologo-pianista americano Charles Rosen

rosen-beethovenLe Sonate per pianoforte di Beethoven

Roma, Astrolabio 2008, pp. 279 (con cd), € 30,00

rosen-piano1

Piano notes, il pianista e il suo mondo

Torino, EDT 2008, pp. 206, € 16,00

Moltissime opere, con tagli diversi e rivolte ai più disparati tipi di lettori, hanno per oggetto le Sonate di Beethoven: vengono in mente Prod’homme, Fischer, de la Guardia, Tovey, Carli Ballola, Pestelli, Rattalino, Scuderi. Questa guida alle Sonate di Charles Rosen è indirizzata a chi, esecutore o ascoltatore, sia in possesso di solide competenze musicali tecniche, teoriche e pratiche: caratterizzato da uno stile di scrittura meticoloso e denso, pari a quello dei precedenti Le forme-sonata, Lo stile classico, La generazione romantica, è la trascrizione dei seminari estivi del Campus Internazionale di Musica che ha sede a Sermoneta, integra testi che non entrano troppo nello specifico musicale e ha il vantaggio rispetto ad altri di una maggior snellezza (è infatti uno “short companion”). Se è vero il detto di Schnabel, secondo il quale queste Sonate sono superiori a una qualsivoglia loro interpretazione, questa può essere l’occasione per ripensarle da capo, spartito (o pianoforte) alla mano.

Nella prima parte sono individuati alcuni macro-temi: principi formali, tempo, fraseggio, pedale, trilli e ampliamento della tastiera, discussi in modo diacronico, ponendo come reagente al corpus beethoveniano composizioni di altri autori, e sincronico, dissezionando le sonate facendole dialogare fra loro.

Nella seconda parte la struttura di ogni sonata è scandagliata entrando in medias res quasi sempre senza indugiare sul contesto storico nel quale nacquero (non si fa menzione ad esempio del ruolo delle dediche, considerato invece essenziale da Klaus Kropfinger e da Carl Dahlhaus); le tematiche prima sviscerate sono sapientemente messe alla prova nelle singole opere: in una sezione di notevole ampiezza è approfondito il concetto di “allegretto classico”. Rosen muove dall’analisi filologica dello spartito, usa edizioni pubblicate mentre Beethoven era in vita, tiene sempre presente il manoscritto e in qualche caso gli abbozzi, fornendo indicazioni pratiche per possibili interpretazioni: la libertà − scrive nell’introduzione − è indispensabile perché ci sia interpretazione. Nella trattazione è considerata in primo luogo la prassi esecutiva, allo stesso tempo sono vagliate le indicazioni beethoveniane alla luce delle modificazioni subite nel frattempo dal pianoforte e una cura particolare è dedicata alla spinosa questione delle indicazioni metronomiche: il caposaldo Czerny, presente nella rilettura di Badura-Skoda, è accompagnato da contributi noti nella tradizione critica, come la somiglianza di struttura fra la “Waldstein” e l’op. 31 n. 1, insieme ad acquisizioni più recenti, come la “riabilitazione” della Sonata op. 54 da parte di Tovey.

Nonostante l’apprezzabile abbondanza di esempi musicali − non sempre facilmente leggibili, ma l’autore lo giustifica nell’introduzione −, la prima sezione della guida è accompagnata da un utile CD nel quale questi sono illustrati al piano, anche se la mancanza delle pagine cui si riferiscono obbliga ad andarli a scovare nel corso del testo. Le note a piè di pagina indicano le altre opere di Rosen riferendosi sempre all’edizione inglese (non c’è bibliografia); eccellente è la veste grafica della neonata, ma promettente, collana “Adagio” dell’Astrolabio.

Piano Notes espone invece in modo discorsivo e in una prosa nitida e leggera, ben resa nella traduzione di Sara Marchesi, tutti quegli aspetti con i quali un pianista, professionista o dilettante, prima o poi deve fare i conti: il rapporto con il proprio corpo (spesso sottovalutato) e il proprio strumento, la memoria musicale, gli aspetti tecnici del pianoforte, i programmi di conservatorio, il repertorio e lo studio di diversi stili pianistici, i concorsi e le masterclass, il contatto con il pubblico.

Per questo testo, nato come conferenza tenuta alla New York Public Library, Rosen attinge al suo patrimonio di esperienze personali, squadernando una miriade di aneddoti, senza lesinare esempi musicali; non spiega come suonare e non è un manuale come quelli di Heinrich Neuhaus o Gyorgy Sandor, ma può essere letto da studenti alle prime armi, i quali vedranno affrontate problematiche che incontreranno in futuro, da pianisti navigati che confronteranno la loro esperienza con quella dell’autore e dagli insegnanti a cui Rosen propone diversi spunti critici (o addirittura polemici). Il quadro incisivo che dà della formazione nei conservatori americani si applica curiosamente bene anche a quella italiana. Il mordace Rosen ama infrangere luoghi comuni: non è il tocco che dà il “bel suono”, i pianisti non hanno bisogno di ascoltare quello che suonano, è inutile concentrarsi per studiare passaggi tecnicamente difficili, e così via…

Il Giornale della Musica, n. 253, novembre 2008, p. 32  (pdf)