Leggere in tedesco di Artemio Focher

Leggere in tedesco. Teoria ed esercizi per comprendere testi originali moderni e antichi, pp. 244.

Hoepli 2017

Leggere in tedesco mantiene la promessa del titolo: è un metodo per imparare a leggere il tedesco entrando subito, fin dalla prima pagina, nella materia. È utile sia a chi non ha ancora conoscenze, sia a chi ne ha già le basi: il fine è poter affrontare qualsiasi testo in lingua tedesca, moderno o antico, in prosa o in poesia. Per contenuti e lessico il libro di Focher sarà di particolare aiuto a chi si occupa o semplicemente ama la musica. L’autore fa ricorso a una miriade di testi autentici, di varie epoche, scritti prima della Rechtschreibreform, e dopo la riforma grammaticale, ma anche in gotico (negli ultimi capitoli si troverà un approfondimento al riguardo). La scelta è stata operata fra aforismi, modi di dire, testi letterari, memorialistica, scritti originali di musicisti, o Lieder.

Il libro aiuta a sviluppare due competenze basilari: la conoscenza della grammatica e la padronanza del lessico, sempre facendo con utilità riferimento alla parentela linguistica tra tedesco e inglese. La metodologia cui fa ricorso Artemio Focher è sostanzialmente diversa da quella usata nelle maggiori scuole di lingue: se lo scopo è imparare a leggere, infatti, si maturerà una conoscenza passiva che punta soprattutto a riconoscere struttura e lessico. È proprio questo ciò di cui necessita maggiormente chi ha interessi storico-musicali. Le buone notizie sono due: acquisire una conoscenza passiva è più rapido rispetto all’uso attivo della lingua, ma è anche il primo passo che può condurre allo studio della lingua parlata.

Il testo si articola in 90 brevi lezioni e 358 esercizi (le cui soluzioni sono disponibili on-line). L’autore offre e contribuisce a sviluppare tre diversi metodi di lettura: totale, sommaria e selettiva. Le lezioni sono di quattro tipi diversi: si concentrano sullo studio della grammatica, sull’ampliamento lessicale, all’approfondimento, ad attività su testi originali che permettono di sviluppare il colpo d’occhio, sapendosi destreggiare con rapidità nelle costruzioni delle frasi tedesche. Un metodo intuitivo e brillante per entrare con più rapidità nel tedesco.

I segreti di Charles Rosen

Escono due libri che raccolgono lezioni e conferenze del musicologo-pianista americano Charles Rosen

rosen-beethovenLe Sonate per pianoforte di Beethoven

Roma, Astrolabio 2008, pp. 279 (con cd), € 30,00

rosen-piano1

Piano notes, il pianista e il suo mondo

Torino, EDT 2008, pp. 206, € 16,00

Moltissime opere, con tagli diversi e rivolte ai più disparati tipi di lettori, hanno per oggetto le Sonate di Beethoven: vengono in mente Prod’homme, Fischer, de la Guardia, Tovey, Carli Ballola, Pestelli, Rattalino, Scuderi. Questa guida alle Sonate di Charles Rosen è indirizzata a chi, esecutore o ascoltatore, sia in possesso di solide competenze musicali tecniche, teoriche e pratiche: caratterizzato da uno stile di scrittura meticoloso e denso, pari a quello dei precedenti Le forme-sonata, Lo stile classico, La generazione romantica, è la trascrizione dei seminari estivi del Campus Internazionale di Musica che ha sede a Sermoneta, integra testi che non entrano troppo nello specifico musicale e ha il vantaggio rispetto ad altri di una maggior snellezza (è infatti uno “short companion”). Se è vero il detto di Schnabel, secondo il quale queste Sonate sono superiori a una qualsivoglia loro interpretazione, questa può essere l’occasione per ripensarle da capo, spartito (o pianoforte) alla mano.

Nella prima parte sono individuati alcuni macro-temi: principi formali, tempo, fraseggio, pedale, trilli e ampliamento della tastiera, discussi in modo diacronico, ponendo come reagente al corpus beethoveniano composizioni di altri autori, e sincronico, dissezionando le sonate facendole dialogare fra loro.

Nella seconda parte la struttura di ogni sonata è scandagliata entrando in medias res quasi sempre senza indugiare sul contesto storico nel quale nacquero (non si fa menzione ad esempio del ruolo delle dediche, considerato invece essenziale da Klaus Kropfinger e da Carl Dahlhaus); le tematiche prima sviscerate sono sapientemente messe alla prova nelle singole opere: in una sezione di notevole ampiezza è approfondito il concetto di “allegretto classico”. Rosen muove dall’analisi filologica dello spartito, usa edizioni pubblicate mentre Beethoven era in vita, tiene sempre presente il manoscritto e in qualche caso gli abbozzi, fornendo indicazioni pratiche per possibili interpretazioni: la libertà − scrive nell’introduzione − è indispensabile perché ci sia interpretazione. Nella trattazione è considerata in primo luogo la prassi esecutiva, allo stesso tempo sono vagliate le indicazioni beethoveniane alla luce delle modificazioni subite nel frattempo dal pianoforte e una cura particolare è dedicata alla spinosa questione delle indicazioni metronomiche: il caposaldo Czerny, presente nella rilettura di Badura-Skoda, è accompagnato da contributi noti nella tradizione critica, come la somiglianza di struttura fra la “Waldstein” e l’op. 31 n. 1, insieme ad acquisizioni più recenti, come la “riabilitazione” della Sonata op. 54 da parte di Tovey.

Nonostante l’apprezzabile abbondanza di esempi musicali − non sempre facilmente leggibili, ma l’autore lo giustifica nell’introduzione −, la prima sezione della guida è accompagnata da un utile CD nel quale questi sono illustrati al piano, anche se la mancanza delle pagine cui si riferiscono obbliga ad andarli a scovare nel corso del testo. Le note a piè di pagina indicano le altre opere di Rosen riferendosi sempre all’edizione inglese (non c’è bibliografia); eccellente è la veste grafica della neonata, ma promettente, collana “Adagio” dell’Astrolabio.

Piano Notes espone invece in modo discorsivo e in una prosa nitida e leggera, ben resa nella traduzione di Sara Marchesi, tutti quegli aspetti con i quali un pianista, professionista o dilettante, prima o poi deve fare i conti: il rapporto con il proprio corpo (spesso sottovalutato) e il proprio strumento, la memoria musicale, gli aspetti tecnici del pianoforte, i programmi di conservatorio, il repertorio e lo studio di diversi stili pianistici, i concorsi e le masterclass, il contatto con il pubblico.

Per questo testo, nato come conferenza tenuta alla New York Public Library, Rosen attinge al suo patrimonio di esperienze personali, squadernando una miriade di aneddoti, senza lesinare esempi musicali; non spiega come suonare e non è un manuale come quelli di Heinrich Neuhaus o Gyorgy Sandor, ma può essere letto da studenti alle prime armi, i quali vedranno affrontate problematiche che incontreranno in futuro, da pianisti navigati che confronteranno la loro esperienza con quella dell’autore e dagli insegnanti a cui Rosen propone diversi spunti critici (o addirittura polemici). Il quadro incisivo che dà della formazione nei conservatori americani si applica curiosamente bene anche a quella italiana. Il mordace Rosen ama infrangere luoghi comuni: non è il tocco che dà il “bel suono”, i pianisti non hanno bisogno di ascoltare quello che suonano, è inutile concentrarsi per studiare passaggi tecnicamente difficili, e così via…

Il Giornale della Musica, n. 253, novembre 2008, p. 32  (pdf)

Prestissimo e senza confini: una chiacchierata con Marco Rizzi

Marco Rizzi
Il 2008 comincia bene per il violinista Marco Rizzi: alla sua intensa attività concertistica si affiancano nuovi impegni didattici all’estero, comel’incarico presso la prestigiosa Escuela Superior de Musica Reina Sofia di Madrid. Siamo andati ad intervistarlo. Partiamo dall’inizio: perché la scelta del doppio diploma?

Dopo il diploma al Conservatorio di Milano e gli studi condotti all’Accademia Stauffer di Cremona, ho conosciuto Wiktor Liberman e ho deciso di andare a studiare con lui ad Utrecht: cercavo un confronto e sentivo l’esigenza di perfezionarmi all’estero, un certo peso ha avuto il fatto che questa città è di piccole dimensioni, molto vicina ad Amsterdam e al Concertgebouw, anche se è stata principalmente la validità artistica del mio maestro che mi ha convinto a tentar la carta dell’espatrio.

Quali sono le differenze che ha rilevato nell’insegnamento e nel mondo musicale olandese?

I programmi di studio stranieri offrono un ventaglio di proposte più ampio che in Italia: ad esempio si può scegliere di specializzarsi in musica da camera o di diventare professori d’orchestra, e ci sono classi d’insegnamento dedicate a questo scopo. Preparano anche dal punto di vista pratico, ti spiegano come si scrive un curriculum, come si fa un contratto e tutto è concepito nell’ottica di una solida professionalità. Ciò è possibile perché esiste un ponte di collegamento fra l’attività didattica e l’impiego: si formano musicisti, ma si creano anche posti di lavoro.

Dopo i premi vinti (Indianapolis, Queen Elizabethe Čaikovskij) com’è cambiata la sua carriera?

Credo che i concorsi siano stati importanti, anche se sono solo un gradino in un percorso che si può costruire in modi diversi: è stato fondamentale esser stato per quattro anni violino di spalla nell’Orchestra dei Giovani dell’Unione Europea (Euyo), e poi contano le incisioni, la formazione che dà la musica da camera, la stima di artisti famosi, e il rapporto di fiducia che s’instaura con i direttori d’orchestra…

Cosa l’ha portata alla decisione di affiancare l’insegnamento, alla professione già di per sé impegnativa di solista?

Una delle ragioni è l’ottimo rapporto che avuto con i miei tre principali maestri Giuseppe Magnani, Accardo e Liber­man, e poi insegnare mi è sempre riuscito facile. La didattica è come l’elisir di lunga vita: evita di concentrarsi troppo su se stessi, e una controparte con cui confrontarsi è indispensabile… gli allievi regalano molto dal punto di vista umano e musicale, inducono a riflettere sul proprio lavoro e aiutano a rimanere freschi e propositivi nella musica che si fa…

Lei tiene masterclass ai Rencontres Musicales Internationales di Enghien (Belgio) e all’Accademia Perosi di Biella, insegna alla HochschulefürMusik di Detmold (Germania) e ora anche alla Escuela Superior de Musica Reina Sofia di Madrid. Quali sono le peculiarità di queste istituzioni?

L’Accademia Perosi è un buon esempio di realtà didattica italiana che va nella direzione giusta, lavorano bene, con serietà e passione. Le difficoltà oggettive che incontrano però credo stiano nel retroterra culturale del Paese, siano cioè più imputabili alla situazione generale della musica in Italia, che ad una precisa istituzione… Nelle due scuole in cui insegno all’estero, ho un punto di vista privilegiato, le trovo ottime dal punto di vista dei programmi, degli scambi internazionali, dei servizi offerti, come l’attrezzatura tecnologica: si registrano tutte le lezioni, e al Reina Sofia realizzano anche il podcast, anche se questa è una scuola privata, una realtà a sé… Non sono completamente esterofilo e non credo che altrove ci sia il migliore dei mondi possibili, ma è vero che in Italia ci sono sicuramente dei problemi, in primo luogo occupazionali. Va detto che l’età media in cui all’estero si ottiene un posto in orchestra è sui 25 anni e che un conto è poter contare sull’esistenza di duecento/trecento orchestre come in Germania, un altro sulle venti o trenta italiane!

Che cosa occorre per insegnare all’estero?

In Germania è richiesta innanzitutto la conoscenza del tedesco, il sistema di reclutamento dei maestri nelle Hochschule (che dipendono dalle regioni) avviene tramite bando pubblico. Una commissione, autonoma nei suoi poteri, ascolta un’esibizione del candidato, che sostiene poi due prove d’insegnamento e un colloquio. In seguito c’è la selezione e la redazione della lista dei tre migliori, che viene sottoposta all’approvazione del Ministero della Cultura e dopo s’instaura una contrattazione col vincitore; il sistema è validissimo perché il fine è avere nel proprio organico i migliori insegnanti in circolazione, che le scuole si contengono. A Madrid è stato più semplice: mi hanno chiamato loro e ho dovuto sostenere tre lezioni di prova prima di essere assunto.

Quali suggerimenti darerebbe a uno studente di Conservatorio italiano?

Consiglierei di continuare a studiare, ma di muoversi per tempo, senza aspettare il diploma o il biennio specialistico… perché il mondo della musica, di cui anche l’Italia fa parte, ma in misura minore, si muove molto velocemente, per cui siamo noi a doverci adattare ai ritmi degli altri. Bisogna tenersi informati, andare ai concerti, cercare di immaginarsi qualsiasi scenario, europeo o extraeuropeo. Dall’ottavo anno in poi è importante frequentare le master classes, conoscere diversi insegnanti, cercando quello che potrebbe seguirci in futuro. Il periodo che intercorre fra il diploma e il posto in orchestra è fatto di anni irripetibili, lo dico sempre ai miei studenti: non avrete mai più tanto tempo a vostra disposizione per studiare e dovete cogliere quest’opportunità!

Così fan tutte per scolari: “Opera domani” al Comunale di Bologna

Giunto alla dodicesima edizione, dopo venti recite a Como, “Opera Domani” sbarca ora a Bologna, come parte integrante dei lavori del convegno internazionale “Cantando s’impara”.

“Opera Domani” è un percorso didattico di avvicinamento all’opera semestrale dedicato alle scuole primarie e secondarie lombarde. Terminato il momento formativo, gli spettatori in erba canteranno in teatro alcune arie, insieme ai giovani cantanti professionisti che interpretano i ruoli principali. Giunto alla dodicesima edizione, dopo venti recite a Como, l’esperimento sbarca ora a Bologna, come parte integrante dei lavori del convegno  “Cantando s’impara”.

Sono protagonisti cinquecento bambini, due compagnie di canto che si alternano (in ogni data sono programmate due rappresentazioni) e un’orchestra. A un cenno del direttore (che volta le spalle all’orchestra fuori dalla buca) si alzano le luci, e i piccoli, sempre concentrati e attentissimi, iniziano a cantare stando in platea e interagendo con l’azione sulla scena. Si scatena allora un incantesimo: le arie coreografate riempiono la sala, di volta in volta, di cappelli militareschi, torte di carta, festoni di fiori. Il maestro concertatore Massimiliano Toni ha raccontato come questo sia stato possibile con tre settimane di assidue prove: l’opera, per una durata complessiva di 73 minuti (circa un terzo dell’originale) tiene inchiodati alle sedie tutti gli ascoltatori.

Archiviata la fortissima emozione della prima, sono adesso pronti a partire per una tournée nel centro-nord Italia. Difficile immaginare un’operazione meglio riuscita, impossibile descrivere il contagioso entusiasmo dei piccoli in delirio per Mozart: una vera festa di suoni e colori.

28 marzo 2008

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