Ermafrodite armoniche. Lo strano caso del contralto nell’800

Beghelli coverMarco Beghelli e Raffaele Talmelli,

Ermafrodite armoniche. Il contralto nell’Ottocento.

Zecchini editore (prima edizione Varese, 2011, pp. 215, € 25, con cd allegato) oggi solo in ebook.

Con questo libro originale Marco Beghelli e Raffaele Talmelli dimostrano che l’idea che abbiamo oggi dei contralti è diversa da quella che si aveva nell’Ottocento. Soprani romantici per eccellenza, come Maria Malibran o Giuditta Pasta, erano chiamate contralti: baritonaleggianti, tendenti al virile al grave e con una tessitura acuta corrispondente a quella degli odierni soprani leggeri. Le testimonianze verbali coeve lodano quest’estensione per lo scarto continuo tra zone acute e gravi, con effetto “jodel” (Fétis), dovuta alla tecnica del doppio registro vocale (che oggi suona dilettantesca). Molte di queste cantanti di primo ‘800, erano state allieve di castrati, e li sostituirono di fatto nei loro ruoli. È legittimo perciò chiedersi se, per contro, anche i castrati avessero una voce virile. C’erano anche donne che si specializzavano in parti tenorili (non en travesti), come Ruby Helder “lady tenor”, la cui voce impressionante si ascolta nella Martha di Flotow, l’opera citata anche nell’Ulysses. Solo negli anni ’20-’30 del secolo scorso nacque il mezzosoprano così come lo conosciamo: dall’estensione più limitata, ma omogenea in tutta la gamma (come Cossotto, Simionato, Besanzoni).

Nonostante non si abbiano registrazioni sonore fino alla fine dell’Ottocento, gli autori riescono a descrivere quel suono perduto attraverso fonti scritte coeve e fonti sonore più tarde (che si ascoltano nelle 62 tracce del cd), legate in qualche modo a quelle voci del passato. I ritratti vocali si aprono con Malibran e si chiudono con Callas. Ampia è l’appendice di testimonianze: tra queste il profilo di Huguette Tourangeau, vocalità atipica che proprio per il suo ermafroditismo vocale conquistò il successo di pubblico, ma gli strali della critica, e l’intervento di due foniatri, Nico Paolo Paolillo e Franco Fussi, che spiegano come le donne possano sviluppare delle risonanze gravi tipicamente maschili.

Il Giornale della musica, 299, gennaio 2013, p. 29

Una pantera per Ariadne

L’opera di Richard Strauss fagocitata dal rifacimento di Sven-Eric Bechtolf

La versione creata per il Festival di Salisburgo dal regista Sven-Eric Bechtolf assembla “Il borghese gentiluomo”, con le musiche di scena di Richard Strauss e la sua “Ariadne auf Naxos” (prima versione, 1912) e mette in scena anche Hofmannsthal in persona che flirta con la sua corrispondente epistolare, la vedova Ottonie von Degenfeld-Schonburg (la brava Regina Fritsch)…

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Verdi nella terra di Shakespeare (Falstaff at the ROH)

Gatti e Carsen insieme per un nuovo “Falstaff” al Covent Garden

Carlo Bosi as Dr Caius, Lukas Jakobski as Pistol and Ambrogio Maestri as Falstaff
© Photo by Catherine Ashmore

In questo nuovo Falstaff coprodotto dalla Royal Opera House, the Canadian Opera Company e la Scala (dove sarà diretto nel 2013 da Harding, con cast in gran parte diverso) Daniele Gatti si conferma un direttore verdiano di grande interesse.

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Salgari e il melodramma

Simonetta Satragni Petruzzi

Salgari e il melodramma. Gli echi dell’Opera nell’opera di Salgari

Il Cubo editore, Roma 2011, pp. 119, € 14

Tra i tanti testi pubblicati in onore del centenario della morte di Emilio Salgari, quello dell’amica Simonetta Petruzzi Satragni è uno studio originale e informatissimo su uno degli aspetti forse meno noti del romanziere naturalizzato torinese. Salgari e il melodramma, affronta l’attività di critico musicale – «in realtà poco più che un cronista, dotato comunque di buon orecchio» – che Salgari intraprese ventunenne scrivendo prima per «La Nuova Arena» e in seguito per «L’Arena», giornali della natìa Verona. Con franchezza Satragni Petruzzi afferma che è impossibile sapere con certezza «quali fossero le conoscenze del Nostro in campo operistico qualora si prescinda dalle opere cui assisteva per motivi di lavoro nei teatri veronesi».

Non sono tanto i contenuti della critica musicale a interessare il lettore, quanto i paralleli tracciati con sicurezza dall’autrice tra ciò che Salgari ascoltò a teatro e quanto dal palcoscenico confluì, trasformato e riadattato, in più o meno celebri romanzi. Libretti alla mano, sono per esempio accostati l’Attila di Giuseppe Verdi e La tigre della MalesiaLa favorita del Mahdi, primo romanzo uscito in volume nel 1887, è il case study: viene tracciata infatti una complessa e ampia rete di corrispondenze (poiché le reminiscenze librettistiche non sempre appartengono a spettacoli recensiti da Salgari), i cui nessi principali si rintracciano nel libretto del grand-opéra L’africana di Eugène Scribe, musicata da Meyerbeer (1865), e ne La creola di Gaetano Coronaro (1878). Anche l’ulteriore capitolo dedicato alle Risonanze librettistiche che appaiono e scompaiono è basato su una conoscenza enciclopedica della librettistica dell’epoca, ma non da meno è l’acribia riservata alla letteratura: per convincersene si legga il capitolo su La bohème italiana. Il “reagente” di questo romanzo «anomalo» stampato nel 1909 è come ovvioLa bohème pucciniana, ma meno prevedibilmente s’innesta nel discorso La piccola bohème operetta semisconosciuta del maestro viareggino Icilio Sadun, andata in scena il 30 marzo 1898. È infine vagliata l’ipotesi che Salgari sia stato un attento lettore di Luigi Illica (celebre librettista, in coppia con Giacosa, di Puccini e, da solo, di Alfredo Catalani), in un’autentica caccia all’indizio che ha per oggetto Siberia messa in musica da Umberto Giordano.

C’è anche il presente: in una rassegna completa non poteva mancare il balletto intitolato a Salgari, musicato da Ludovico Einaudi, con la coreografia di Daniel Ezralow e i testi scelti da Andrea De Carlo, andato in scena a Verona nel 1995, interpretato come una sorta di risarcimento postumo della féerie su soggetto salgariano e con i protagonisti dei suoi maggiori romanzi, che sulle scene non giunse mai.

Originariamente per “24letture” de Il Sole 24ore.com

Salisburgo: “Die Frau ohne Schatten” reloaded

A Salisburgo la Donna senz’ombra ambientata a Vienna nel 1955

La “Frau ohne Schatten” di Christof Loy ha sorpreso tutti. Loy accantona completamente il lato favolistico presente in Hofmannsthal ambientando la vicenda in un teatro ottocentesco. Ciò basterebbe a far pensare a una meta-opera. C’è di più. In scena i personaggi in abiti quotidiani stanno in realtà provando la Frau: leggono la parte sul leggìo supervisionati da un regista, contornati da una segretaria, cameriere e sorveglianti. Il senso di straniamento è acuito dal fatto che la rappresentazione ha luogo negli anni ’50, riferimento – non immediatamente comprensibile – alla prima incisione dell’opera realizzata a Vienna nel 1955 sotto la bacchetta di Karl Böhm.

Qui la storia della “Donna senz’ombra” è costretta a emergere solo attraverso la musica. Certo, la grandezza della partitura di Strauss è tale che neanche una regia così anticonvenzionale può ostacolare il suo completo dispiegamento. Il merito è tutto del geniale Christian Thielemann che non delude mai le aspettative. La sua acuta interpretazione, con i Wiener in forma come sempre, mette in luce ogni singolo elemento di forza dell’opera, eseguita senza tagli. Sul versante musicale davvero non si può volere di più; il pubblico salisburghese lo sa e ha accolto con grande calore il direttore d’orchestra. Non altrettanto si può dire del regista che alla fine è stati buati. Di pregio il cast vocale: su tutti svettano la moglie del tintore Evelyn Herlitzius, applauditissima, e la nutrice Michaela Schuster; bravi il gagliardo imperatore Stephen Gould e Wolfgang Koch, il tintore, anche se quest’ultimo non si distingue per presenza scenica; mentre l’imperatrice Anne Schwanewilms ha avuto qualche momento di debolezza. Rachel Frenkel, in abiti maschili, ha saputo conferire il preciso tratto di ineluttabilità alla voce del falco.

Il Giornale della Musica, recensioni online