Boris minimal in versione mista

Inaugurazione al Regio di Torino con la regia di Konchalovsky

Per il Boris Godunov di Musorgskij Gianandrea Noseda opta per l’edizione del 1869 (senza l’atto polacco); la novità è l’inserimento del quadro della foresta di Kromy dopo quello di San Basilio, che genera però l’incongruente doppia apparizione dell’Innocente.

Le scarne scene di Graziano Gregori (sulle quali si stagliano gli splendidi costumi tradizionali di Carla Teti), rischiano tuttavia di creare qualche confusione nell’ascoltatore, poiché soltanto qualche ramo indica la foresta, ma nulla suggerisce la presenza della cattedrale di San Basilio. Andrei Konchalovsky idea una regia minimale giocata su tonalità cineree, illuminata a tratti da macchie luminose: la morte di Boris, ad esempio, è sancita efficacemente dal crollo del trono che riluce poi di rossi bagliori.

Il protagonista è impersonato dal basso Orlin Anastassov che s’impone sulla scena con una voce importante e ha il physique du rôle, più in ombra il monaco Pimen (Sergej Aleksaškin), basso anch’egli. Boris è multiforme: ora sovrano spietato, ora padre dolcissimo (esemplare la scena con i figli Ksenija, la brava Alessandra Marianelli, e Fëdor, la voce bianca di Pavel Zubov), talvolta è indotto a eccessi fuori luogo non giustificati dal libretto, come il tentativo di strozzare Šujskij (Peter Bronder, perfettamente in parte). I momenti più riusciti sono il lamento del Folle in Cristo (il commovente Evgenij Akimov) attorniato dal coro di voci bianche del Conservatorio di Torino diretto da Claudio Fenoglio e il coup de théâtre quando Boris scaglia con una coppa di sangue contro il figlio immacolato. La prova dei cori è stata buona, ma per ben due volte la massa di coristi cammina concitatamente sul palcoscenico coprendo il pianissimo dell’orchestra. Buona accoglienza da parte del pubblico.

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The Opera Critic

L’Opernphantasie “Dionysus” di Wolfgang Rihm in prima mondiale al Festival di Salisburgo

Il mondo onirico di Nietzsche

© Ruth Walz

Dopo 14 anni di gestazione ecco la stupefacente Opernphantasie di Rihm.

Su un lago, in barca, N. subisce l’assalto erotico di Arianna (traslato di Cosima Wagner): è la bravissima Mojca Erdmann, voce duttile e cristallina nella tessitura acuta. N. esce dal mutismo con: “Io sono il labirinto”, ma sarà l’Ospite biancovestito a incantare Arianna.

La scenografia è dominata dallo sguardo stilizzato di un essere multiforme, nocciolo della concezione di Meese: è Dio, Nietzsche stesso o un alieno? Poi N. e l’ospite scalano una montagna: più si allontanano da terra, più i loro dialoghi divengono criptici, e Rihm abilmente fa rimpiattino tra i giochi di parole e il loro corrispettivo musicale (ad es. “Nur Narr”, nella terza scena).

In una sorta di metafora interiore, N. parla con l’Ospite come a un alter ego (“Nicht mehr zurück?”), e anche quando il coro irrompe espressionisticamente sembra dar voce al suo delirio paranoico.

La terza scena è bipartita: nel colorato bordello pop N. rifiuta le avances delle 4 prostitute (fantasia erotica opposta rispetto ad Arianna), e intona “Der Wanderer” mentre l’Ospite è al pianoforte: di lì a poco questo verrà fatto a pezzi. Nello scenario onirico c’è circolarità: le stesse parole (“Mich willst du? Ganz?”) pronunciate dalle ninfe, dalle prostitute e poi dall’Ospite, mutano di senso. Attorniato dalle menadi e da tre nutrici, simili a Veneri di Willendorf, N. è scorticato da Apollo, la sua pelle assume una forma autonoma e tutti si ritraggono inorriditi da lui.

L’ultima scena è quella del celebre episodio, ma qui è la pelle, in una piazza, ad abbracciare il cavallo, frustato da una figura senza volto. Composta magistralmente, visionaria, questa è l’opera che vorremmo (ri)vedere nei teatri di tutta Europa.

Accoglienza del pubblico calorosissima.

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L’étoile di Emmanuel Chabrier a Berlino

Ultima recita prima del restauro della Staatsoper di Berlino

Dopo l’ultima recita dell’Étoile di Chabrier prenderà avvio in estate il controverso restauro della Staatsoper di Berlino, poiché il primo progetto vincitore di Klaus Roth, che prevedeva un restyling ritenuto eccessivo, è stato cassato. Dopo una nuova gara lo studio di architettura HG Merz si è aggiudicato l’appalto: in tutto saranno 36 mesi di lavori per 239 milioni di euro; nel frattempo le attività della Staatsoper si trasferiscono temporaneamente allo Schiller Theater.

Il pubblico berlinese ha accolto con calore questa opéra-bouffe al cui centro vi sono le vicende del capriccioso re Ouf I (Jean Paul Fouchécourt perfettamente nella parte) in cerca di qualcuno da giustiziare nel giorno del suo compleanno. Da una parte Ouf, consigliato sul da farsi dal fido astrologo Siroco (Giovanni Furlanetto), dall’altra una doppia coppia che contribuisce a intricare gli eventi: Hérisson de Porc-Epic e Aloès, insieme al segretario Tapioca e a Laoula (Juanita Lascarro), la principessa, ignara promessa sposa di Ouf. Ecco che l’affronto al re, in cerca della sua vittima, proviene da Lazuli (un’irriconoscibile Magdalena Kožená, nei panni di un monello del tutto credibile), che cotto di Laoula, ma temporaneamente rifiutato e per questo incarognito, lo schiaffeggia. Il verdetto dell’astrologo capovolgerà la situazione, però solo nel terzo atto, dopo molte peripezie, Ouf capitolerà, cedendo Laoula a Lazuli, finendo per designare il ragazzo come successore. Il tutto ambientato nel moderno hotel L’étoile, anni ’50/’60, in salsa Grease. Azzeccati i costumi, efficaci cambi di scena a sipario aperto, divertenti i balletti e le mossettine pensate per il coro. Juanita Lascarro è brava, ma su tutti svetta la Kožená.

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Così fan tutte per scolari: “Opera domani” al Comunale di Bologna

Giunto alla dodicesima edizione, dopo venti recite a Como, “Opera Domani” sbarca ora a Bologna, come parte integrante dei lavori del convegno internazionale “Cantando s’impara”.

“Opera Domani” è un percorso didattico di avvicinamento all’opera semestrale dedicato alle scuole primarie e secondarie lombarde. Terminato il momento formativo, gli spettatori in erba canteranno in teatro alcune arie, insieme ai giovani cantanti professionisti che interpretano i ruoli principali. Giunto alla dodicesima edizione, dopo venti recite a Como, l’esperimento sbarca ora a Bologna, come parte integrante dei lavori del convegno  “Cantando s’impara”.

Sono protagonisti cinquecento bambini, due compagnie di canto che si alternano (in ogni data sono programmate due rappresentazioni) e un’orchestra. A un cenno del direttore (che volta le spalle all’orchestra fuori dalla buca) si alzano le luci, e i piccoli, sempre concentrati e attentissimi, iniziano a cantare stando in platea e interagendo con l’azione sulla scena. Si scatena allora un incantesimo: le arie coreografate riempiono la sala, di volta in volta, di cappelli militareschi, torte di carta, festoni di fiori. Il maestro concertatore Massimiliano Toni ha raccontato come questo sia stato possibile con tre settimane di assidue prove: l’opera, per una durata complessiva di 73 minuti (circa un terzo dell’originale) tiene inchiodati alle sedie tutti gli ascoltatori.

Archiviata la fortissima emozione della prima, sono adesso pronti a partire per una tournée nel centro-nord Italia. Difficile immaginare un’operazione meglio riuscita, impossibile descrivere il contagioso entusiasmo dei piccoli in delirio per Mozart: una vera festa di suoni e colori.

28 marzo 2008

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