In quali modi si faceva musica ieri e l’altro ieri e come ci si immaginava il futuro musicale? Come lo si fa, adesso, questo futuro? Arduo dar conto di tutte le innovazioni nella musica d’oggi, anche se ci sono delle costanti.
A partire dal disco d’oro “maxi-singolo” a 12 pollici con immagini, saluti, suoni e musiche terrestri, mandato in orbita nel 1977 con la sonda Voyager 1, lo sfruttamento dello spazio cosmico a fini musicali non passa di moda. Un esempio è Le Noir de l’Étoiledi Gérard Grisey (1990), un brano misterioso e bellissimo per sei percussionisti in cui il ritmo di una pulsar, una stella che emette periodicamente brevi impulsi di radioonde, interagisce con strumentisti e nastro magnetico: si ascolterà alla Chigiana, nell’ambito del festival, il 1° agosto, e poi il prossimo 12 novembre al Pirelli Hangarbicocca nell’ambito di Milano Musica, rassegna che è un riferimento sicuro per la musica contemporanea.
«La libreria è leggera, la biblioteca pesante. […]
La libreria è crisi perpetua subordinata al conflitto tra novità e ambiente».
Com’è cambiato questo luogo atto ad accogliere libri nel corso del tempo? Come si modificherà in futuro? Come siamo cambiati noi? Perché abbiamo strutturato la nostra identità a partire dalla relazione con queste cose di carta e le persone che stanno loro attorno?
Abbiamo intervistato Kaspars Putniņš, direttore artistico e direttore principale del Coro filarmonico estone da camera in occasione del concerto torinese di domenica 13 settembre, con musiche di Arvo Pärt e Morton Feldman.
Benedetta Saglietti:Il coro ha un repertorio immenso, da Pietro Abelardo a Pärt. Come direttore qual è il suo approccio alla musica corale contemporanea?
Kaspars Putniņš: La musica è una grande parte della mia vita e credo che sia molto importante essere in contatto con i compositori del nostro tempo, altrimenti la musica rischia di diventare una sorta di “museo”, o soltanto un bell’ornamento delle nostre vite. Le tendenze della musica contemporanea corale sono molto interessanti.
Photo: Kaupo Kikkas
BS:Quali difficoltà, se ci sono, sperimentano i cantanti nella musica contemporanea in confronto con il repertorio corale classico?
KP: Nella musica contemporanea il suono è certamente molto complicato. Ci sono diversi problemi tecnici, ad esempio, l’intonazione, che richiede uno speciale allenamento. Un altro esempio di difficoltà in questo repertorio è l’esecuzione di musica microtonale. Ma, dopo tutto, la musica è la musica, antica o contemporanea, ciò che conta è il significato, non i problemi tecnici.
BS:Questa è la terza volta che il coro è invitato al festival MiTo Settembre Musica a Torino: era già stato ospite nel 1994 e nel 2004. La seconda volta, al monastero di Bose, il coro interpretò il bel “Kanon Pokajanen”, sotto la bacchetta di Tõnu Kaljuste. La composizione è lunga quasi un’ora e mezza. Ma nel concerto torinese di domenica 13 settembre ci sarà spazio anche per “Rotkho Chapel” di Morton Feldman. Quindi penso suonerete una versione ridotta. Mi dica qualcosa di più in proposito.
KP: Bisogna dire prima di tutto che questo concerto a Torino [lunedì 14 a Milano] è molto speciale. È stato ideato da Enzo Restagno, il direttore artistico di MiTo e credo che la combinazione di questi due pezzi sia un’ottima idea. Di solito suoniamo il “Kanon” da solo. Il “Kanon” ha 9 movimenti che possono essere eseguiti separatamente. Ho dovuto soltanto scegliere la sequenza [Ode I, Ode VI, Kondakion, Ikos, Ode IX, Preghiera dopo il canone], ma certamente oggi suoniamo una versione più breve. I temi più importanti del canone sono preservati nella selezione che ascolteremo.
BS:So che il coro ha una relazione speciale con Arvo Pärt. Mi spieghi questo rapporto speciale che intrattenete con lui.
KP: Come lei sa sono diventato direttore artistico e direttore principale del Coro filarmonico estone da camera solo nel settembre 2014. Naturalmente l’ho incontrato diverse volte. Il coro ha eseguito la maggioranza dei suoi lavori, specialmente con il mio predecessore Tõnu Kaljuste. Abbiamo preso parte alle celebrazioni dell’ottantesimo compleanno di Pärt e a un grande progetto a Tallinn nel maggio 2015, dove c’è stata la prima mondiale della “Adam’s Passion” con musiche di Arvo Pärt e con la regia di Robert Wilson. Riguardo lo speciale legame con Pärt è semplicemente… la vita! Succede!
BS:Proprio come nella vera cappella (a Houston, in Texas) la composizione di Morton Feldman’ “Rothko Chapel” parla alle persone di ogni credo, indipendentemente dalla loro religione.
In Italia questo pezzo è raramente eseguito (mai prima d’ora a Torino), e qualcuno ritiene che la musica di Feldman possa essere difficile, strana, esoterica. Può commentare brevemente questo lavoro?
KP: Non sono molto a mio agio nel parlare di musica, non sono un musicologo! Descrivere la musica con le parole è talvolta ridurla alle sole parole. Ma la sua musica ha il suo linguaggio!
BS:Intendevo chiederle qualche “chiave” per diventare ascoltatori migliori…
KP: Per prima cosa si dovrebbe rimanere molto concentrati e, allo stesso tempo, aperti alla musica. Devi semplicemente cercare di entrare dentro questo brano. Secondo, questo è un dialogo interiore, esattamente come quando uno parla a se stesso. La viola è la “persona”, la voce principale, in questo pezzo. Terzo, per me questo brano è una contemplazione della vita umana. Qualche volta compaiono dei momenti belli, come il meraviglioso solo del soprano. Quando questi momenti meravigliosi appaiono ti chiedi cosa siano. Non lo so. Forse ricordi d’infanzia. Il lavoro pittorico di Rothko e la musica di Feldman sono, secondo me, non esattamente simili, ma in dialogo fra di loro.
BS:Lei ha diretto questo brano molte volte, quindi sono curiosa: come reagisce il pubblico a questa musica? Che cosa pensa?
KP: Questa particolare combinazione (Arvo Pärt/Morton Feldman) è inusuale, quindi non lo so. Vedremo! Ognuno a delle qualità estetiche veramente peculiari, e spero che il pubblico ci segua in questo viaggio speciale.
BS:Grazie molte per aver messo il suo tempo a disposizione dei nostri lettori e del pubblico e per avermi concesso questa intervista!
We had a little chat with Rupert Enticknap about his role in Philip Glass’ opera “Akhnaten”
We had a little chat with Rupert Enticknap about his role in Philip Glass’ opera “Akhnaten”. Questions came from out @mitotorino* followers on Twitter. (*@MiToTorino Twitter account doesn’t exist anymore)
Yes – Glass has created a very strong atmosphere of the ancient! The repetition is very ritualistic and I find some of the large melodic shapes remind me of religious/gregorian chant.
How difficult is this this role compared to traditional Baroque composers like Handel or Rameau?
R.E.
Technically speaking the difficulty is the vocal repetition often on 1 note or vowel, which is not something that occurs in baroque music. However the aria ‘hymn’ for example is very similar to a slow aria by Handel, as both styles require to sing with great bel canto line and phrasing.
In recent years we have seen several productions of this Opera. It possible that some day Akhenaton will have the same popularity of … let’s say Aida?
R.E.
Yes, I believe an opera such as Akhnaten would definitely appeal to audiences who favour ‘grand’ opera, with large choruses and big epic structures telling a story of rise and fall. The music of the opera also is very accessible in that it doesn’t require audiences to ‘understand’ complex atonal harmonies, allowing them to easily adapt to the ‘sound world’ of the story being told.
Sometimes you dive into the contemporary repertoire (such as Max Richter’s SUM). As a countertenor do you feel at ease with the new music? The differences are really big!
R.E.
I love singing new music! What we forget is that until 100 years ago, musicians were always playing ‘contemporary music’! New music is very important for continuing the history of opera and it is also expanding the repertoire for countertenors. The differences stylistically can be big, and can create challenges, but I approach every repertoire in the same way: bel canto.
As a performer, how does one go about preparing for a major operatic role such as Glass’ Akhnaten?
R.E.
This part required a lot of studying of the score’s structure and how one can bring shape and meaning to the many repeated motifs and monosyllabic sections. For this I also needed to really understand the context of the story and as much about the figure of Akhnaten in order to establish a sense of character in a concert performance.
13 settembre 2015, Auditorium Lingotto di Torino “MiTo Torino”
Enzo Restagno ha dedicato il suo ultimo libro a una grande coppia di compositori del Novecento.
Mi ha colpito particolarmente come egli passeggi insieme al lettore conducendolo attraverso una serie di luoghi, indicandogli dove si svolsero i fatti, mostrandogli l’arte dell’epoca e, naturalmente, avvolgendolo di musica. Pare che l’autore abbia conosciuto i due di persona, tale è la vivezza del suo racconto… In una fresca mattina torinese mi ha accolta nella sua casa zeppa di libri e dischi.
Leggi tutta l’intervista sul Giornale della musica.
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