Viaggi interstellari con Martin Grubinger e il Percussive Planet Ensemble al Festival di Salisburgo

Il totale coinvolgimento mentale e fisico dei musicisti fa pensare alla trance; come se fossero fuori dal loro corpo. […] Grubinger è lo sciamano.

Partiamo per un viaggio interstellare.

hires-Martin_Grubinger__The_Percussive_Planet_Ensemble__c_Silvia_Lelli1 © Silvia Lelli

Brani di Gérard Grisey, Maki Ishii, Keiko Abe, première de Étoile di Friedrich Cerha.

Read it on Bachtrack.

Interpreti: Martin Grubinger + Percussive Planet Ensemble. Festival di Salisburgo 2013.

Grisey, Le noir de l’étoile

IshiiThirteen Drums for percussion solo, Op.66

AbeThe Wave

CerhaEtoile, for 6 percussionists (world première commissioned by the Salzburg Festival and the Vienna Konzerthaus with the kind assistance of Mr Johannes Baum)

Falstaff mandato a “Casa Verdi” da Damiano Michieletto

Delle mie opere, quella che mi piace di più è la Casa che ho fatto costruire a Milano per accogliervi i vecchi artisti di canto non favoriti dalla fortuna, o che non possedettero da giovani la virtù del risparmio.

Così Verdi descrive la casa di riposo per musicisti anziani che fondò al tempo della composizione del Falstaff.

Recensione del Falstaff al Festival di Salisburgo.

Read here in English.

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Falstaff 2013: Ensemble. © Silvia Lelli

 

 

Una pantera per Ariadne

L’opera di Richard Strauss fagocitata dal rifacimento di Sven-Eric Bechtolf

La versione creata per il Festival di Salisburgo dal regista Sven-Eric Bechtolf assembla “Il borghese gentiluomo”, con le musiche di scena di Richard Strauss e la sua “Ariadne auf Naxos” (prima versione, 1912) e mette in scena anche Hofmannsthal in persona che flirta con la sua corrispondente epistolare, la vedova Ottonie von Degenfeld-Schonburg (la brava Regina Fritsch)…

Il Giornale della Musica, online

Al festival di Salisburgo tradizione e contemporaneità, da Verdi a Sciarrino: intervista a Markus Hinterhäuser

Il novantunesimo Festival di Salisburgo, in programma dal 27 luglio al 30 agosto 2011, offre come di consueto una variegata offerta musicale di alta qualità. Si apre con Le Nozze di Figaro dirette da Robin Ticciati (Erwin Schrott è Figaro) e si continua con Così fan tutte e Don Giovanni diretto da Yannick Nézet-Séguin, ripresa dell’intero ciclo con la regia di Claus Guth. Il primo agosto la straussiana Frau ohne Schatten sarà affidata alla bacchetta magica di Christian Thielemann, mentre il Macbeth di Verdi, la cui première è già ausverkauft, inaugura l’inedita collaborazione tra Riccardo Muti e Peter Stein.

Il Caso Makropulos di Leoš Janáček sotto la direzione di Esa-Pekka Salonen si ascolterà a partire dal 10 agosto, mentre Le Rossignol di Stravinskij e la Iolanta di Čajkovskij, nella quale Anna Netrebko interpreta la protagonista, guidata da Ivor Bolton alla testa dell’Orchestra del Mozarteum, saranno eseguite in forma di concerto il 15 e il 20. Sul fronte dei concerti le novità sono il Zyklus di nove appuntamenti dedicati a Šostakovič e le Mahler-Szenen, affianco alle collaudate Mozart-Matinee e ai Liederabend, nei quali si possono ascoltare artisti del calibro di Thomas Quasthoff e Matthias Goerne, che qui è di casa. Tra le molte orchestre ospiti l’8 e il 9 agosto ci sarà l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da Antonio Pappano che porta a Salisburgo una sinfonia londinese di Haydn e lo Stabat Mater di Rossini, con la superstar Netrebko. Oltre a tutto ciò la sezione Kontinent, dedicata alla musica contemporanea, in passato concentrata su di un singolo compositore, quest’anno ruota invece attorno a un tema che si collega a quello principale del Festival, il cui slogan è «risvegliare l’orecchio, gli occhi, il pensiero umano» (Luigi Nono).
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Abbiamo intervistato il sovrintendente Markus Hinterhäuser, dal 2014 a capo delle Wiener Festwochen, che quest’anno conclude il suo operato al Festival di Salisburgo.

Potrebbe ripercorrere per noi quanto realizzato e fare il punto del programma di quest’estate?

Quella di Salisburgo è una delle esperienze più belle che ho avuto finora. Ho iniziato la mia attività al Festival nel 1993, quando andò in scena il Prometeo di Nono, che torna quest’anno – a dirigerlo è ancora Ingo Metzmacher – a suggello del lavoro svolto. Anche Neither di Morton Feldman è, similmente a quella di Nono, una “tragedia dell’ascolto”. L’altra opera centrale del programma è il Macbeth di Sciarrino (il 4 agosto) accostata al Macbeth di Verdi (il 3) diretto da Muti. È un privilegio per il pubblico poter ascoltare due opere di due grandissimi compositori italiani in contiguità temporale. Il dramma è centrale anche negli altri concerti del Fünfte Kontinent; il ciclo si conclude infatti con due quartetti per archi di Giacinto Scelsi (cui era dedicato il Kontinent del 2007) e con il terzo quartetto per archi di un compositore austriaco vivente, Georg Friedrich Haas, che verrà eseguito al buio. Accostando fra di loro personalità molto differenti come Nono, Sciarrino, Cage, Feldman, etc… il Kontinent è dunque incentrato sul contraddittorio.

Com’è cambiato secondo lei il pubblico in questi anni?

Certo non si tratta di offrire soltanto un festival di musica contemporanea ma di mostrare, attraverso una sorta di grammatica musicale, come essa non nasca isolata nel nostro tempo, ma derivi dalla storia della musica precedente e giunga fino a noi. Per imprimere una forte linea artistica a un festival bisogna anche chiedere qualcosa al pubblico. Il racconto universale musicale può essere compreso nelle sue intime connessioni storiche: chi trasmette ciò deve tener presente anche della personalità dei luoghi in cui la musica viene eseguita. (Grazie a Hinterhäuser l’incantevole Kollegienkirche è il luogo deputato alla musica contemporanea opportunamente rimodellato per la sua esecuzione). Tutti questi elementi concorrono a far scoprire la forza oracolare della musica.

    A Salisburgo risuona il “Prometeo” di Nono

    Nono apre il ciclo “Der Fünfte Kontinent”

    “Prometeo, tragedia dell’ascolto” è stata allestita nella barocca Kollegienkirche a diciotto anni di distanza dall’ultima esecuzione salisburghese. In una lettera a Renzo Piano Nono così la definisce: «Non opera / non regista / non scenografo / non personaggi tradizionali / ma drammaturgia-tragedia con suoni mobili che / leggono scoprono / svuotano riempiono lo spazio». Nella chiesa solisti, musicisti, direttore e coro sono disposti lungo il perimetro su impalcature di diversa altezza (notava Nono che nelle chiese le cantorie e gli organi sono sempre a mezza altezza, mai sul pavimento, una pratica concertistica antiacustica attuale).

    Da quando il “Prometeo” deve far a meno della struttura di Piano, ideata per la prima veneziana del 1984, l’allestimento va rimodellato sulle peculiarità del luogo dell’esecuzione; la fruizione sarà dunque, ogni volta, unica. Prometeo non ci racconta una storia in musica: il libretto di Cacciari, costituito da testi in greco, italiano, tedesco, si dissolve nel suono. La composizione è in nove parti, ognuna con un diverso organico; vi è una eco dei cori battenti di San Marco: «a sonar e cantar» è scritto in partitura, un riferimento a Andrea e Giovanni Gabrieli; pure la “nuova” realtà microtonale ha per Nono radici nell’antichità (per es. nei canti sinagogali). Elementi centrali sono il timbro e lo spazio, insieme alla trasformazione con il live electronics delle voci e degli strumenti. È visibile lo sforzo richiesto agli interpreti per produrre il suono mobile con la voce e con gli strumenti. Gli ascoltatori seduti nella navata sono letteralmente circondati dall’opera. Metzmacher è lo specialista indiscusso del repertorio, i cantanti solisti brillano per tecnica e bravura, la Schola Heidelberg ha suono cristallino e intonazione celestiale.

    Il Giornale della Musica, recensioni online