Tutte le opere di Verdi raccontate da Guido Paduano

verdi paduano edt

Guido Paduano, TuttoVerdi. Programma di sala.

Torino, EDT 2013, pp. 192, € 12,50.

Per ricordare il centenario della nascita EDT manda in stampa TuttoVerdi, Programma di sala di Guido Paduano. Il soggetto è il “macrotesto” di ogni singola opera verdiana, vale a dire le connessioni intertestuali tra musica e libretto.

Nel prendere in esame le opere di Verdi, ognuna nella propria autonomia, Paduano chiarisce in modo mirabile il sistema di rispondenze reciproche. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Risulterebbe impropria, o quantomeno manchevole, una valutazione dei soli libretti così come un’analisi musicale monca della sua controparte testuale.

Il rapporto con le fonti è centrale. È importante la rivalutazione della dignità del libretto, cominciata da qualche tempo con Luigi Baldacci e Mario Lavagetto, ma è da tener a mente che è sempre il discorso musicale ad assumersene la responsabilità espressiva, a imprimere una direzione. La musica operistica è quella che, nelle parole di Verdi: «scolpisce e rende netta ed evidente la situazione». L’anima del mio lavoro è questa “situazione”, non solo la musica né soltanto le parole, ma il teatro.

Come inquadrare il melodramma verdiano?

Il melodramma va considerato nel contesto della storia della cultura europea. È importante la relazione con i suoi assi portanti: un esempio è la lettura che Verdi fa di Shakespeare. Dall’altro lato le “situazioni”, cui accennavo prima, rispecchiano momenti fondamentali sia della vita dei singoli sia della vita associata, o talvolta il contrasto fra le due, come nel caso esemplare de I Vespri siciliani.

Perché un sottotitolo al singolare?

Programma di sala indica l’organicità dell’opera di Verdi, concepita come un unico grande discorso.

Che tipo di lettura suggerisce?

Mi auguro che TuttoVerdi possa essere per il lettore un vademecum da portar con sé a teatro.

Il Giornale della Musica, 301, marzo 2013, p. 21.

“Beethoven, ritratti e immagini” su Rete Toscana Classica

Il 28 novembre sono stata ospite delle Cronache musicali (l’intervista fatta da Antonella D’Ovidio si ascolta sulla pagina del programma) di Rete Toscana Classica, in onda il secondo e quarto mercoledì del mese alle 10.40 con replica il venerdì successivo alle 15,40.

banner

Per chi vive in Toscana, le frequenze sono: Firenze, Prato, Pistoia: F.M.93.300 MHz

Livorno, Lucca, Pisa, Versilia: F.M. 93.100 MHz

Grosseto e Provincia: F.M. 94.600 e 99.300 MHz

Siena e Provincia: F.M. 97.500 MHz

Val di Chiana: F.M. 90.200 MHz

La radio si ascolta in streaming anche qui.

Manchester International Beethoven Conference

Dal 25 al 27 giugno 2012 ho partecipato a Manchester al primo convegno europeo internazionale su Beethoven organizzato da Barry Cooper, Erica Buurman, Siân Derry e Matthew Pilcher.

Ecco il programma completo dei due giorni.

Ne ho anche parlato a Venice Classic Radio:

  • qui la sintesi della prima prima giornata
  • qui la seconda
  • infine la terza dove Lewis Lockwood mi ha concesso un’intervista. Ci parla della revisione del primo movimento della Sonata per violoncello e pianoforte in la maggiore op.69.

Lockwood è curatore, assieme a Alan Gosman, dell’edizione critica ‘Beethoven’s “Eroica” Sketchbook‘ (Quaderno degli schizzi della Sinfonia “Eroica”), che uscirà questo autunno, edita dalla University of Illinois Press.

Qui si trova una sintesi del convegno (in inglese), mentre qui puoi leggere il conference report di Martin Nedbal.

 

Un Beethoven nuovo sul lago Michigan

Dell’International Beethoven Project, il cui primo festival si è tenuto a Chicago dal 14 al 18 settembre 2011, sorprende il desiderio senza confini di far convergere in un’unica sede più forme d’arte che ruotino attorno al compositore di Bonn.

Soddisfatto è il musicofilo esigente che ascolta: il Quartetto con pianoforte WoO 36 n. 3, la Sonata “Kreutzer” eseguita prima nella versione tradizionale, poi nella trascrizione per quintetto d’archi, i rarissimi Preludi per pianoforte in tutte le tonalità, la Grande Fuga nella versione per per pianoforte a quattro mani.

L’appassionato è incuriosito dall’Eroica e dalla Pastorale arrangiate per rock band (Reed Mathis of Tea Leaf Green & his Band).

beethoven-1-300x150

Oltre a una masterclass, due focus: Beethoven Today, mette in luce l’influsso e l’eredità beethoveniana nella musica contemporanea; il Bagatelle Project, un ciclo di venti nuove bagatelle composte sull’Inno alla gioia, interpretate da tre pianisti. Non solo uno spaccato dell’opera di Beethoven, ma anche il suo rapporto con altri compositori, e approfondimenti su tanti diversi generi.

Oltre alla musica, c’è di più: da un lato la commissione a dodici artisti contemporanei di nuove interpretazioni figurative dell’immagine di Beethoven – esposte nell’affascinante Chicago Urban Art Society, uno spazio post-industriale con una buona acustica, sede temporanea del festival per quest’anno -, dall’altro una tavola rotonda sull’iconografia del compositore, declinata nelle sue più diverse sfaccettature (James Green), dall’art nouveau (Alessandra Comini) all’interazione tra i ritratti tradizionali di Beethoven e quelli realizzati per il festival (Benedetta Saglietti –> piccolo momento pubblicità).

Ma, soprattutto, l’atmosfera rilassata di chi fa musica tra amici.

Ecco cosa mi ha raccontato il direttore artistico franco-americano, nonché pianista, George Lepauw.

A very beethovenian fan

Com’è cominciato tutto?

Da sempre amo profondamente e ammiro Beethoven e la sua musica. Recentemente la fortuna mi ha messo in contatto con James Green [curatore del nuovo catalogo Hess, tradotto in Italia da Zecchini], attraverso il comune amico Dominique Prévot, presidente dell’Association Beethoven France, che ha portato nel 2008 alla costituzione dell’International Beethoven Project (IBP). Il Beethoven Project Trio (con Sang Mee Lee al violino e Wendy Warner al violoncello) ha organizzato una serie di concerti culminati nell’esecuzione dei Trii Hess 47, Anhang 3 e op. 63 all’Alice Tully Hall del Lincoln Center di NY, incisi per Cedille Records. Lo scopo del progetto era raggiunto, ora bisognava portarlo nel futuro. L’attenzione ottenuta da parte del pubblico e da parte della stampa mi ha indotto a ideare un festival che rispecchiasse la mia visione delle arti nel ventunesimo secolo: l’IBP è stato il veicolo per crearlo, Beethoven l’ispirazione.

Come ti è venuta la pazza idea di mettere insieme musica, arte figurativa, danza, un reading, una tavola rotonda, una grande accademia e un concerto rock, in cinque giorni?

La pazza idea è nata perché volevo creare un tipo di esperienza per il pubblico che io stesso desideravo: un’atmosfera in cui si ascolta e si fa musica, circondati da una meravigliosa creatività e da persone di talento. Volevo una versione contemporanea del salon privato del diciottesimo e diciannovesimo secolo. Bisognava immaginare un modo per trasformare l’idea in grande adattandola a un festival pubblico.

Immortal Beloved, Rachel Monosov per Catinca Tabacaru

Quali sono i goal di quest’edizione?

Il più grande successo è stato trasformare il sogno in realtà: tante persone entusiaste si sono sentite ispirate dalla musica e dal luogo. Vorrei continuare a tenere strettamente saldata l’esperienza umana alla musica e all’arte, perché tutti siano consapevoli del processo creativo. La sfida per il futuro è tenere in equilibrio il successo e la necessità di avere spazi più ampi, restando sempre fedeli al nostro spirito e al bisogno vitale di avere un contatto diretto con chi ci sta di fronte.

Una curiosità: come sei riuscito a mettere insieme tante persone per lavorare all’idea?

Conosco la maggior parte di loro da qualche mese: abbiamo scoperto di condividere una certa visione dell’arte e ci siamo dedicati anima e corpo. Ho incontrato Catinca Tabacaru, responsabile della sezione arte e film, attraverso i comuni amici Mike Cahill (film maker) e Rachel Monosov (l’artista talentuosa che ha presentato la sua Amata immortale, nella foto sopra): quando ho capito che l’arte visiva sarebbe stata una parte importante del festival e lei ha accettato sapevo che il suo lavoro sarebbe stato un valore aggiunto al progetto. Molly Feingold, Director of Production, l’ho incontrata a giugno a un evento sponsorizzato dagli High Concept Laboratories, partner anche del festival. Aurélien Pederzoli, uno dei nostri violinisti più dotati, e David Moss, la nostra viola di punta, mi hanno aiutato nella programmazione e nel selezionare i musicisti. Sono amico da un paio d’anni di Robert McConnell, direttore musicale, Mischa Zupko, responsabile di Beethoven Today e Katherine Lee, cui fa capo la sezione educativa.

In Italia c’è preoccupazione riguardo agli sponsor, difficili da trovare. Com’è possibile organizzare un festival basandosi solo su quelli privati?

Trovare sponsor è una delle maggiori difficoltà di qualsiasi progetto creativo. Abbiamo fatto affidamento su donatori privati e sulla vendita di biglietti. La nostra squadra di supporters è cresciuta in questi quattro anni: hanno valutato il lavoro fatto e deciso di credere in noi. Tuttavia, la prima edizione è stata fatta con piccole cifre.

Cosa ci puoi dire dell’edizione 2012?

La scorsa edizione è stata incentrata sul tema Beethoven come uomo e come Musa; del prossimo tema verrà dato l’annuncio sul sito il 16 dicembre, giorno del compleanno di Beethoven. La rassegna avrà luogo in uno spazio più grande, più centrale, a Chicago. Ci piacerebbe molto portare questo festival in giro per il mondo, ma lo potremmo fare soltanto cercando un partner locale o appoggiandoci a un festival già esistente che voglia collaborare con noi. Se un’opportunità di collaborazione artistica verrà fuori, salteremo su quel treno!

Scritto per Sipario, n. 741.

Una vita nella vita di Berlioz

Il Berlioz e il suo tempo (LIM, Lucca 2010, 2 volumi, 1386 pp., 80 euro) di Olga Visentini s’impone per mole e importanza nel panorama dell’editoria musicale. È vero che ultimamente in Italia si sta affermando, a livello librario, un rinnovato interesse per il compositore (si pensi al testo di Paolo Russo sulla Sinfonia Fantastica, alla pregevole monografia di Laura Cosso per l’Epos, alla traduzione italiana delle Serate d’orchestra, EDT), nonostante ciò non coincida con una maggiore esecuzione delle sue opere nei teatri.

Come si è evoluto il suo interesse verso Berlioz?

Tutto ebbe inizio con la prima traduzione dei Mémoires (Studio Tesi, 1989), cui seguì una nuova edizione corredata da note (Ricordi-LIM, 2004); nel frattempo, lavorando attorno e su Berlioz, mi è sembrato che la sua opera andasse collocata meglio nella storia della musica coeva, dal momento che l’universo musicale francese in cui egli vive, popolato da operisti come Boïeldieu, Adam, Auber, non è molto conosciuto.

Su quali aspetti si è concentrata?

Ho voluto studiare la sua tendenza al modernismo (il fatto cioè di essere un “modernista conservatore”). Tra gli anni Venti e Trenta Berlioz sfidò le regole: aveva come modello Gluck, che a Parigi in quell’epoca stava sparendo, e guardava oltre l’orizzonte francese (Weber, Beethoven), cose che non gli facilitano l’affermazione. Già all’esordio la sua statura è tale che supera tutti quelli a lui precedenti, e tuttavia, o forse proprio per questo, è una personalità non accettata né dall’Accademia né in patria, perciò il biografo di Berlioz ha sempre la tendenza a difenderlo. Inoltre i due grandi modelli teatrali che dominano, quello verdiano e wagneriano, fanno sì che quella di Berlioz sia percepita come una scrittura drammaturgicamente più complicata e difficile da mettere in scena in modo convincente.

Lei è riuscita nella difficile integrazione di vita e opera…

Desideravo porre in luce i momenti meno noti della sua vita, mettendo a fuoco contemporaneamente l’epoca in cui visse, inserendo fra l’uno e l’altro i capitoli dedicati alle opere;  ma alla fine le parti di interludio dedicate al linguaggio musicale si sono dilatate. Ciò che conta è la risonanza che ebbero i diversi momenti storici nella biografia, poiché Berlioz, anche se non sembra, era molto attento alla politica: la sua musica, del resto, aveva come mecenate lo Stato, diversamente da ciò che succedeva in Germania.

In che modo ha trattato una fonte, interessante a livello mitopoietico, ma meno dal punto di vista della verità storica, come le Memorie?

Le Memorie sono un testo di un buono scrittore, in cui c’è una parte letteraria notevole, ma sono poco sfruttate nel mio libro, poiché abbiamo la fortuna di poter leggere la sua biografia attraverso documenti importanti come l’epistolario e le critiche musicali (di cui si prevedono dieci volumi).

Il testo, suddiviso in due tomi, è corredato da un sito internet. Perché questa scelta?

Lewis Lockwood è stato probabilmente il primo a espungere dalla sua biografia beethoveniana gli esempi musicali affidandoli a internet, rendendo più agevole la lettura ai non musicisti. Nel mio caso i numerosi esempi musicali si trovano nel libro: aggiungere i Midi e i file audio completi e metterli online è un modo di valorizzarli, consentendo a tutti, pure a chi non ha familiarità con la lettura di una partitura, di
poterli anche ascoltare.

Il Giornale della musica, 284, settembre 2011, p. 47