Delizie e chimere illuministe

Fubini_Illuminismo L’Illuminismo francese e la musica

A cura di Enrico Fubini

Milano-Lucca, Ricordi-Lim 2007, pp. 289, € 20

L’ultima opera nata in casa LIM, nella collana delle “Sfere”, è un’antologia di testi raccolti da Enrico Fubini. Nella Francia del XVIII secolo germogliano idee nuove su cui si baserà il pensiero musicale dei periodi successivi, e il dibattito si apre a tutti, non soltanto agli addetti ai lavori, purché si tratti di connaisseurs. Fubini raduna i più diversi tipi di intellettuali chiamati a dire la loro su questo o quell’altro aspetto della cultura musicale; sulle prime − scrive nell’introduzione − si rimane tuttavia disorientati dall’uniformità dei temi affrontati. Man mano che si procede nella lettura ci si accorge però che la querelle sugli antichi e sui moderni o la disputa francesi vs italiani sono una lente attraverso cui s’intravedono problematiche linguistiche, estetico-filosofiche, antropologiche e persino politiche. Gli scritti dei minori, accanto ai “grandi” dell’illuminismo, servono perciò a cogliere il clima culturale del tempo. Il consiglio: la prosa argutissima di Friedrich Melchior Grimm, viaggiatore ante litteram, meno noto di Charles Burney, incanta nel racconto del petit prophète; la delizia: l’oscuro Boyé si domanda in L’expression musicale mise au rang des chimères, 75 anni prima di Eduard Hanslick, se la musica possa esprimere le passioni dell’uomo; la curiosità: Diderot, rispondendo agli attacchi di Rameau, tira anche in ballo il clavicembalo oculare di Louis-Bertrand Castel, discussione che avrebbe fatto la felicità di Skrjabin.

Il Giornale della Musica, n. 252, ottobre 2008, p. 34  (pdf)

Fatti di musica, la scienza di un’ossessione umana. Su musica e cervello

levitinDaniel J. Levitin Fatti di musica, la scienza di un’ossessione umana.

Torino, Codice edizioni 2008, pp. 273, € 26

Interrogarsi sul comportamento dell’uomo in relazione alla musica è forse il modo più interessante per affrontare il discorso più generale del suo funzionamento. L’autore cerca di spiegare cosa accade nel nostro corpo a contatto con la musica, quando suoniamo e quando ascoltiamo, esaminando come altezza del suono, timbro e ritmo causino specifiche reazioni nel cervello, nella mente e nei pensieri.

I quesiti a cui il libro cerca di dar risposta sono molti. Ad esempio: che cos’ha in comune Honky Tonk Woman dei Rolling Stones con la Sheherazade di Rimskij-Korsakov? C’è una correlazione tra talento musicale e struttura cerebrale? Come riesce un solista a ricordare un intero concerto a memoria? Esiste una predisposizione biologica verso la musica? Perché alcune corrette interpretazioni sono in grado commuoverci fino alle lacrime e altre, pur tecnicamente perfette, invece no?

Levitin, neuroscienziato, musicista e produttore musicale, fornisce le sue risposte in una prosa piana e scorrevole, i generi da cui trae gli esempi sono i più vari (rock, musica eurocolta, pop, canzoni infantili, jazz) e sia la parte musicale che quella neuropsicologica sono affrontate in modo accessibile a tutti. Segnaliamo l’eccellente cura editoriale e le puntuali note, e la prefazione di Wu Ming 2; completa infine l’opera una ricca bibliografia che distingue intelligentemente tra testi di base e lavori per specialisti.

Giornale della Musica, n. 252, Ottobre 2008, p. 34

recensora
un primo sguardo al volume…

Leggi anche la recensione di Bruno Dal Bon del libro: 

Il cervello musicale. Il mistero svelato di Orfeo di Daniele Schön

Pazzi di Schumann

copertinaschumannPeters Uwe

Robert Schumann e i tredici giorni prima del manicomio

Milano, Spirali 2007, pp. 304, € 30,00

Curioso questo lavoro di Uwe Henrick Peters, neuropsichiatria tedesco, che prende in esame con occhio clinico la vicenda dell’internamento di Schumann.

Ci sono dei precedenti: il biografo beethoveniano Maynard Solomon è psicoanalista e John O’Shea in Musica e medicina (EdT, 1991) ha affrontato tematiche simili. Questo libro discute invece la presunta malattia mentale di Schumann. Peters smantella quella che è sempre passata per un’incontestabile verità chiamando a testimoniare i contemporanei, esaminando la stampa dell’epoca, soppesando ad una ad una le parole della moglie Clara e le annotazioni del diario steso dai coniugi.

L’elemento più convincente, e allo stesso tempo più inquietante perché fa crollare la base su cui poggia la favola romantica del musicista folle, è la totale assenza di documentazione – confermata da Clara – del “fattaccio”, cioè il fallito annegamento nel Reno la notte di Carnevale del 27 febbraio 1857. Se Schumann non tentò il suicidio, per quale ragione venne dunque confinato nel manicomio di Endenich? Questa è la domanda alla quale tutto il resto dell’opera cerca di rispondere. L’autore, unendo alla competenza medica l’acribia nell’esposizione dei dati, riesce con un procedere da detective a tener avvinti fino all’ultima pagina.

La narrazione delinea la storia della difficile convivenza di due individui eccezionali, lontana dalla banalità della leggenda e piena di chiaroscuri. Non mancano tuttavia a volte tratti morbosi… insomma: tutto quello che avete voluto sapere di Schumann e non avete mai osato chiedere.

Il Giornale della Musica,n. 250, luglio-agosto 2008, p. 25  (pdf)

Stravinskij e il suo doppio Craft

Igor’ Stravinskij – Robert Craft

Ricordi e commenti.

Trad. di Franco Salvatorelli,

Milano, Adelphi 2008, pp. 414, € 36

Il nuovo Ricordi e commenti (Adelphi) composto da Robert Craft, direttore d’orchestra, suo interprete e assistente, si pone ad integrazione dei volumi simili, ma non identici, usciti in passato (Colloqui con Strawinsky, Einaudi, Cronache della mia vita, SE). Egli ha vissuto per ventitré anni con il compositore raccogliendo il materiale che compendia le sue quattro vite: russa, svizzera, francese e statunitense. Non è chiaro dove inizi Stravinskij e dove finisca Craft, ma l’osmosi è comunque riuscitissima. Nonostante la mole che può intimorire, il libro si legge d’un fiato: perché Stravinskij è un incantatore di serpenti, evocatore di storie come i vecchi di fronte al fuoco.

Nel primo capitolo, il più affascinante, imbastisce il racconto dell’infanzia russa, non priva di echi proustiani, dominata dalla figura favolosa di Ciajkovskij. L’uomo Stravinskij, lontanissimo dallo stereotipo, a tratti commuove; il suo però è anche un travestimento: mefistofelico, camaleontico. Lo scopriamo fine conoscitore d’arte, lettore di Musil e Vaughan, uomo mondano e allo stesso tempo schivo. Una teoria di situazioni e personaggi, a volte solo fugaci comparse, vengono tratteggiati con incisività: Rimskij-Korsakov, Picasso e Balla, Skriabin e Prokofiev, Rachmaninov, Strauss, Reger e Debussy, e ancora Fokin, Djagilev, Nijinskij, Auden e Cocteau, D’Annunzio, Proust, Gide e T. S. Eliot. Gustosi “dietro le quinte”: «musique concrète erano i telefoni di Pietroburgo, mi ispirarono le battute iniziali del secondo atto del Rossignol».

Il Giornale della Musica, n. 249, giugno 2008, p. 33  (pdf)